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’Ndrangheta, sequestrato il patrimonio al costruttore Berna

Dagli inizi a Torino all’espansione in Calabria, ascesa e caduta dell’imprenditore che i magistrati accusano di essere cresciuto grazie alla cosca Libri

di Nino Amadore

(ANSA)

3' di lettura

Un patrimonio accumulato grazie agli iniziali investimenti della ’ndrangheta e ai successivi appoggi delle cosche di Reggio Calabria. È questa l’accusa alla base del provvedimento di sequestro del patrimonio da 45 milioni di euro che fa capo agli imprenditori calabresi Francesco e Demetrio Berna eseguito dagli uomini della polizia e in particolare del Servizio centrale anticrimine diretto da Giuseppe Linares: un patrimonio di cui fanno parte 18 società (di cui una in Florida), una ditta individuale, 10 veicoli, 337 fabbricati, 23 terreni tra Reggio Calabria, Messina e gli Stati Uniti.

Il giudice (il provvedimento porta la firma del presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, Natina Praticò) ha di fatto accolto gli elementi che accusano in particolare Francesco Berna di essere stato prima sostenuto e poi affiancato dalla cosca Libri di Reggio Calabria: accuse sostenute soprattutto da collaboratori di giustizia e già vagliate da altri giudici nell’ambito dell’operazione giudiziaria che ha portato, nel 2019, Francesco e il fratello Demetrio in carcere «in quanto ritenuti “imprenditori di riferimento” dell’articolazione di ’ndrangheta reggina denominata cosca Libri».

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Francesco Berna, imprenditore venuto dal nulla

Secondo la procura (gli atti sono riportati nel provvedimento di sequestro), Francesco Berna (negli anni diventato uno dei più importanti costruttori edili della Calabria e assurto al vertice dell’Ance, prima che fosse sospeso e poi sostituito) e il fratello «erano delegati allo svolgimento di attività imprenditoriali, in particolare nel settore edilizio, immobiliare e della ristorazione. Investivano e riciclavano (in Calabria e su tutto il territorio nazionale) capitali del sodalizio mafioso, garantendo il versamento allo stesso di una parte dei profitti così ricavati; agevolavano tramite subappalti, commesse, l’espansione economico-imprenditoriale della cosca, affidamenti, accordi societari con i suoi rappresentanti». Accuse sempre fermamente respinte dai due fratelli: l’ex presidente di Ance Calabria, in particolare, ha sempre sostenuto di essere stato vittima delle estorsioni tanto da arrivare a denunciare, dopo il suo arresto, la pressione del racket della famiglia Labate di Gebbione, popolato quartiere di Reggio Calabria. 

L’accusa: gli inizi a Torino con l’appoggio della cosca Libri

Ma per i giudici il legame tra Berna e le cosche era «da ritenersi, espressione di compiacente contiguità alla cosca Libri – che gli indagati hanno invece descritto come il soffocante nodo scorsoio della costrizione mafiosa». In continuità, questa l’analisi dei magistrati reggini, con l’inizio della storia imprenditoriale del costruttore reggino che avrebbe avuto la benedizione di Domenico (Mico) Libri, storico decano della ndrina: «Ha avuto una bella spinta – ha raccontato ai magistrati Enrico De Rosa –: Francesco Berna, avevaavuto una bella spinta con degli appalti a Torino, diversi anni fa, dice lo abbiamo mandato che era “nu muccusu” (un ragazzino), a prendere appalti a Torino. Francesco era un ragazzino, 22-23 anni, e maneggiava appalti di 7-800 milioni di lire, alla volta. in 5-6 anni è tornato a Reggio Calabria milionario. Francesco Berna era sicuramente la persona più intelligente di tutti quanti, perché Demetrio fa quello che gli dice Francesco, e Fabio Berna, il piccolo, fa quello che gli dice sempre Francesco. Francesco è l’anima imprenditoriale, Francesco è la mente, e Francesco è quello che si è spaventato della loro crescita esponenziale, si spaventa più di tutti tipo... della famiglia è quello più guardingo».

 Un sodalizio con le cosche che sarebbe cominciato negli anni Novanta, è la tesi dei magistrati, e continuato negli anni, anche quando Francesco Berna è stato eletto alla presidenza dell’Ance. Periodo in cui, scrivono i magistrati, «aveva accentuato le frequentazioni con altri esponenti dell’alta imprenditoria e limitato invece quelle con i suoi originari sodali con un comportamento che infastidiva i boss che stigmatizzavano l’ambiguità di chi - come Berna - tentava di occultare imbarazzanti legami, accreditandosi pubblicamente come soggetto lontano dal mondo della criminalità organizzata, grazie al quale aveva tuttavia realizzato le sue fortune (“...si fanno tutti i, i perbenini fanno ora no, cioè alla fine fanno i perbenini no, fino ad ora abbiamo mangiato e dormito e sputato nello stesso piatto».

Affari e politica, Demetrio il fratello assessore

Affari e politica per i fratelli Berna. «Tra ’ndrangheta e politica c’era Berna (Demetrio in questo caso ndr), che era una persona, tipo, che ricopriva il ruolo di Consigliere Comunale, anche in quelle occasioni in cui si è incontrato con Giovanni De Stefano, ancora, era Consigliere, Assessore al bilancio, si, era Assessore al bilancio» ha raccontato ancora De Rosa. E sempre De Rosa ha descritto i contorni di un accordo elettorale: «Alessandro Nicolò, da un lato, e la cosca di Cannavò (i Libri ndr), dall’altro, da intendersi – precisa il
collaboratore di giustizia – non come un normale accordo stipulato tra due soggetti politici, ma dall’essere entrambi i referenti politici della cosca Libri».

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