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Aggressioni ai medici, in ospedale torna il posto di polizia

In corso l’identificazione delle strutture sanitarie in cui si sono registrati maggiori atti di violenza

(ANSA)

4' di lettura

Per ridurre il rischio delle aggressioni ai sanitari registrate di recente è in vista un piano di rafforzamento dei posti di polizia presenti nei luoghi più esposti al fenomeno. Per far questo, a breve sarà pronta una fotografia dei contesti dove maggiore è risultata la frequenza delle aggressioni guardando a interventi mirati e rapidi.

In corso mappatura degli ospedali

«I grandi poli ospedalieri hanno registrato negli ultimi tempi sempre di più atti di aggressioni a medici e infermieri. Col tempo i presidi di polizia nei pressi degli ospedali erano stati dismessi o depotenziati, quindi attiveremo un progressivo piano di potenziamento», ha anticipato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. «Stiamo mappando gli ospedali in cui si sono registrate più aggressioni e in settimana avremo i dati», aggiunge in un’intervista il responsabile della Salute Orazio Schillaci.

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Schillaci: fondamentale decongestionare i Pronto soccorso

Fondamentale è comunque «decongestionare» i pronto soccorso. «Forse è la misura più importante. È fondamentale - precisa Schillaci - che i malati arrivino al pronto soccorso soltanto quando ne hanno veramente bisogno. La strada è una sola: la medicina territoriale. Fino a oggi è stata l’anello debole del nostro sistema sanitario, ma ora è indispensabile rafforzarla, potenziarla, riqualificarla. Devono esserci altri luoghi in cui chi sta male riceve le prime cure».

Medici ospedalieri: non basta, serve cambiare legge

Posti di polizia in ospedale? «Rispetto alle aggressioni agli operatori è solo uno dei punti da analizzare, e neanche quello indispensabile. Noi abbiamo bisogno urgentemente, più che di presidi, che venga cambiata da legge del 2020 sul tema». Commenta così Pierino Di Silverio, segretario nazionale dei medici ospedalieri del sindacato Anaao Assomed, l’annuncio del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, sull’avvio di un’iniziativa per istituire presidi di polizia nelle strutture ospedaliere, in modo da arginare il fenomeno della violenza sugli operatori sanitari. Il sindacato chiede un incontro urgente con il ministro per «l’apertura di un tavolo che abbia l’obiettivo di intervenire alla radice del problema». Quella del 2020 «è una normativa che si è dimostrata fallimentare perché non ha prodotto risultati. Non prevede, in particolare, che il medico sia pubblico ufficiale o, almeno, che ci sia, per questi reati, la procedura d’ufficio che oggi è possibile solo per lesioni gravi: non dobbiamo morire perché chi aggredisce sia processato in maniera automatica», dice Di Silverio. Nel merito dell’annuncio di Piantedosi è chiaro che i presidi «devono essere di polizia perché se fossero affidati a Esercito o a guardie giurate sarebbero inutili: queste figure, infatti, non hanno la possibilità di difendere le persone, non sono autorizzate ad intervenire fisicamente»

Ordini dei medici: obiettivo è evitare aggressioni

Sulle aggressioni ai medici, «il primo obiettivo deve essere evitarle. Questa sarebbe la prospettiva ottimale» al di là di misure di sicurezza quali l’invio immediato delle forze dell’ordine, come nella ventilata direttiva del ministero dell’Interno alle prefetture per garantire interventi rapidi in caso di violenze. Per il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici bisogna mettere in piedi «tutte le iniziative che evitano il conflitto. Ci sono due possibilità per farlo», spiega. «La prima è la deterrenza, quindi utilizzare la presenza negli ospedali di forze dell’ordine, o dell’Esercito, se il Governo dovesse valutare di non avere personale di pubblica sicurezza sufficiente per presidi in ogni pronto soccorso. E per quanto riguarda altre strutture, territoriali e guardie mediche, non ci devono essere più medici da soli in luoghi isolati: devono essere organizzate in edifici dove c’è altro personale», avverte il presidente dei medici.

«Migliorare comunicazione per ridurre conflittualità»

L’altra possibilità, aggiunge, «è parlare con i cittadini. Servirebbe quindi adottare la procedura che prevede personale adeguatamente preparato nella comunicazione con i cittadini per informarli. Servono “mediatori” in grado di spiegare ciò che sta accadendo, evitando situazioni di esasperazione. Migliorare la comunicazione riduce la conflittualità». Il tema non è solo quello di garantire un rapido arrivo delle volanti o dei carabinieri sui luoghi di violenza, «ma è soprattutto prevenire. Quello che si può fare nell’immediato è migliorare le condizioni di lavoro degli operatori, la comunicazione con il cittadino». In ogni caso, «la presenza della pubblica sicurezza con l’Esercito è un forte deterrente per evitare episodi di violenza».

Non vuole attendere turno, paziente picchia infermiera

Presa a calci da una paziente che, al Pronto soccorso, pretendeva di essere visitata immediatamente nonostante avesse una lieve ferita a un dito e un codice verde. Vittima della più vicina aggressione una giovane infermiera in servizio nell’ospedale Di Venere di Bari: l’operatrice sanitaria ha riportato ferite guaribili in sette giorni e adesso, in un post su Facebook poi rimosso, si chiede «se conviene davvero» dedicarsi con dedizione a un lavoro faticoso. «Vi prego rispettateci, rispettate l’impegno che ci mettiamo», scrive amareggiata mostrando in foto la gamba bendata. La giovane infermiera, in servizio da due anni al Di Venere, è stata presa a calci, inseguita e minacciata solo per aver tentato di spiegare ad un’altra donna in attesa - ricostruisce l’Asl - che i codici rossi più gravi avevano la precedenza. La donna, che ha inseguito l’infermiera costringendola a trovare riparo in uno spogliatoio, ha approfittato della assenza della guardia giurata impegnata in quel momento in un altro reparto. Poi è stata portata di forza fuori dal triage del Pronto soccorso dove ha continuato a minacciare l’infermiera e gli altri operatori sanitari, creando panico e caos in tutto il reparto.


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