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Una delle caratteristiche storiche del nostro Sud (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna) è l’elevato livello di gioventù della popolazione residente. Tale caratterizzazione si evidenzia anche dalla graduatoria provinciale dell’età media della popolazione residente che, a inizio 2022, vedeva nelle prime dieci posizioni ben nove province dell’area. Tale caratteristica si è mantenuta costante nel corso del tempo soprattutto grazie alla maggiore propensione alla natalità che i territori meridionali hanno evidenziato per molto tempo, ma che si è andata ridimensionando già negli ultimi anni. Nell'ultimo ventennio, infatti, la classifica costruita sul numero medio di figli per donna vede protagoniste quasi esclusivamente le province del Nord al netto di alcune realtà siciliane. Il processo di denatalità è di fatto l’elemento che caratterizzerà principalmente il futuro della demografia del Sud, stando agli scenari diffusi negli scorsi mesi da Istat e che prevedono una vera e propria rivoluzione del quadro demografico del Mezzogiorno. I dati da questo punto di vista sono particolarmente eloquenti. In termini di popolazione complessiva ci si attende da qui al 2070 un depauperamento di quasi 1/3 degli attuali residenti, corrispondente in termini assoluti a circa 6 milioni di persone, contribuendo per quasi il 52% alla contrazione complessiva della popolazione nazionale. Tale ridimensionamento interesserà tutta l’area, ma dovrebbe essere ancora più eclatante in Basilicata e in Sardegna, dove è previsto un calo della popolazione valutabile intorno al 40%, e più contenuto in Campania con un calo stimato al di sotto del 30%. Non è tutto. Cambierà completamente anche la struttura demografica in termini di età. A fine 2069 tre delle prime quattro regioni più anziane del paese saranno meridionali, mentre oggi solo la Sardegna è nel novero delle dieci regioni più anziane. In particolare, va evidenziato come la Sardegna sarà la regione più “vecchia” d'Italia con una età media valutabile pari a 55 anni, +7,3 anni rispetto ad oggi. Come già accennato, le cause vanno quasi tutte individuate nei deficit della componente naturale. Il rapporto fra numero di decessi e di nascite che oggi è valutabile intorno a quota 1,65 è destinato a crescere a partire dall'anno 2032 arrivando ad un massimo di 2,61 nel 2061 attenuandosi leggermente nel decennio successivo. Questo accadrà non tanto per una crescita del numero dei decessi, che sarà una ovvia conseguenza del progressivo invecchiamento, ma per la continua contrazione del numero di nascite che proseguirà senza soluzione di continuità da oggi fino al 2070, allorquando il numero di fiocchi rosa e azzurri dovrebbe essere un terzo in meno rispetto a quelli di oggi. La questione migratoria assumerà una certa rilevanza solamente in questo decennio con le uscite decisamente superiori alle entrate. Via via però questo fenomeno si attenuerà e a partire dal 2055 si avvierà una nuova fase nella quale le entrate saranno maggiori delle uscite.
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