Alla Juve il Derby d’Italia. L’Inter perde anche il secondo posto
Per i nerazzurri, sempre in pressione ma poco incisivi, un’altra serata storta con tanto fumo e poco arrosto. È la nona sconfitta in 27 giornate di campionato
di Dario Ceccarelli
6' di lettura
Nell’anno del Napoli, il Derby d’Italia va alla Juventus. Una vittoria così, a corto muso (1-0) o a braccino corto. Come preferite. Di quelle, comunque, che tanto piacciono a Max Allegri e che ora porta i bianconeri a meno 7 dal quarto posto. Per l’Inter, sempre in pressione ma poco incisiva, un’altra serata storta con tanto fumo e poco arrosto. È la nona sconfitta in 27 giornate di campionato. Una caduta ogni tre che non fa certo bene ai progetti di Inzaghi e al suo incerto futuro. E non fa certo piacere ai tifosi interisti, galvanizzati dall’ingresso ai quarti di Champions, ma di nuovo colpiti dall’ennesimo passo falso di una squadra che, superata dalla Lazio, ora perde anche il secondo posto. Un up-and-down che sconcerta ma non fa quasi più notizia.
La Juventus, come fa spesso, non brilla, ma colpisce quando deve colpire. Come quando, al 23’, dopo un contropiede fulminante, Kostic infila la rete con una rasoiata che buca mezza difesa interista. Un gol viziato dal dubbio di un tocco di mano di Rabiot, da cui era partita l’azione, ma considerato ininfluente dal Var. Qui l’Inter, che per due volte con Barella aveva minacciato la porta bianconera, si sfalda perdendo il filo del gioco. Lautaro e Lukaku, poco serviti, non incidono. E la Juve, ben chiusa in difesa ma veloce in ripartenza, riesce a conservare il vantaggio fino alla conclusione del match. Il finale è molto nervoso con due espulsi (D’Ambrosio e Parades), tante spinte e tante ammonizioni.
Spuntato anche l’attacco della Juventus. Vlahovic, troppo teso e litigioso, non segna e non produce. Chiesa, entrato nella ripresa, deve poi uscire per un nuovo infortunio muscolare che potrebbe fargli saltare la Nazionale. A uscirne malconcia, da questa crash test, è quindi l’Inter che aveva appena ricevuto un po’ di ossigeno dal passaggio ai quarti in Champions. Superata dalla Lazio in campionato, e con un aprile densissimo di impegni (in primis il Benfica e le due semifinali di Coppa Italia con la Juve), la squadra di Inzaghi deve venir fuori dalla sua esasperante volatilità. Se la sfida di San Siro non ha dato risposte confortanti all’Inter, ha invece ulteriormente rilanciato le ambizioni della Juventus, sempre più proiettata nella sua personale rincorsa al podio. Senza la penalizzazione, sarebbe seconda a 15 punti dal Napoli, ormai chiaramente fuori portata, ma prezioso come punto di riferimento. Insomma, di sicuro, dopo questa sfida di San Siro finita in corrida, c’è solo una cosa: che tutto è fluido e che tutto, a parte il dominio del Napoli, deve ancora succedere.
Napoli centrale
Che sia l’anno del Napoli non ci piove. Perfino le fiction in tv, avendo capito che aria tira, sono tutte ambientate nella città partenopea. Per non parlare del boom del turismo. Se chiedi: "Dove vai a Pasqua?" stai tranquillo che la metà risponderà di aver già pronte le valigie per una vacanza nel capoluogo campano con annessa gita al Vesuvio e visita a Pompei. E poi il Teatro San Carlo, la Galleria borbonica, le catacombe di San Gennaro. E la musica? E il rap napoletano? E la nostalgia per la struggente ironia di Troisi?
Insomma, Napoli fa tendenza. E uno dei motori di questa tendenza è la squadra di Spalletti che, ormai, ha diviso in due il campionato di calcio. Un muro invalicabile. Da una parte c’è il Napoli con la sua marcia inarrestabile, dall’altra, ci sono i poveri inseguitori. Una bolgia dantesca dove tutti si fanno male a vicenda in un ostinato contrappasso che naturalmente favorisce la capolista. Anche in questa domenica di San Giuseppe, festa del papà, il Napoli ha strappato applausi a scena aperta stravincendo a Torino quattro a zero, in una tammurriata azzurra che ha travolto i poveri granata senza pietà.
Dopo solo nove minuti, grazie alla solita prodezza di Osimhen, che inzucca di testa volando più alto di tutti, la festa è già cominciata. Poi, in un tripudio di bandiere azzurre è arrivato il resto: un altra rete del bomber nigeriano (21 gol in serie A,) il rigore di Kvaratskhelia e il guizzo di Ndombele che, firmando il poker, ha suggellato la 23esima vittoria dei nipotini di Maradona su 26 partite giocate. Perfino inutile parlare degli errori granata, quasi in soggezione davanti a una squadra con sincronie così perfette. Perfino Spalletti, sempre freddino quando ci si scalda, fatica a nascondere l’entusiasmo. «Questa squadra ha sempre più fame, è un piacere allenarla», dice il tecnico spendendo anche un elogio particolare per Osimhen ( «È un attaccante unico»). Chiaramente Spalletti, con una squadra senza più limiti, né in Italia né in Europa, cerca di buttar secchiate d’acqua sugli eccessi di entusiasmo che spesso a Napoli fanno brutti scherzi. Ma perfino questa temuta spada di Damocle sembra roba antica, di un altro Napoli, di un’altra città che era imprigionata nei suoi vecchi luoghi comuni. Questa è molto diversa, in festa certo, ma con un’allegria serena e positiva che rende ancor più compatta la marcia verso il terzo scudetto della storia azzurra.
Alla Lazio il derby capitolino
È finita con una vittoria risicata (1-0) dei biancocelesti la sfida tra Lazio e Roma. Il gol decisivo, una stilettata di fino, è venuto da Zaccagni nella ripresa quando ormai il derby era già ampiamente compromesso per i giallorossi, rimasti in dieci per l’espulsione di Ibanez, per una doppia ammonizione che avrebbe potuto evitare. Più determinata, e avvantaggiata dalla superiorità numerica, la Lazio ha messo all’angolo una Roma già di per sé non brillantissima e più propensa a salvare la pelle che a rovesciare la situazione. Pur magro, è un successo preziosissimo per la squadra di Sarri, che aggancia l’Inter al secondo posto lasciando i giallorossi cinque punti più in giù. Non è un bel periodo per la Roma di Mourinho, solo parzialmente consolato dall’aver trovato posto tra i primi otto di Europa League. Nervosissimo, lo Special One ha pure litigato, a fine partita, con il presidente della Lazio, Lotito, colpevole d’averlo guardato male. Nuova commedia, tra i due litiganti, presto sugli schermi.
La nuova ricaduta del Milan
“Povero Diavolo che pena mi fai “ canterebbe Riccardo Cocciante gettando altro sale sulle nuove ferite dei rossoneri. Vallo a capire questo Mllan che crolla nel mese di gennaio, rinasce in febbraio, entrando nei quarti di Champions, e ricade in marzo in una nuova crisi devastante. Come quei malati che, dopo una convalescenza troppo disinvolta, finiscono di nuovo con la flebo all’ospedale. Il 3-1 a Udine è un passo falso quasi imbarazzante, difficile da spiegare. Non basta rimarcare che l’Udinese ha giocato una delle sue migliori partite della stagione. Grazie tante, tutti giocano a mille contro i campioni d’Italia. Anche la Fiorentina e pure la Salernitana. Un punto in tre partite non è concepibile. Soprattutto non avendo un posto in Europa garantito. Si può capire qualche giorno di sbornia dopo l’impresa col Tottenham, ma subito dopo una squadra con ambizioni europee si rimette in marcia. «Manca l’esperienza per giocare da campioni d’Italia», ha chiosato con amarezza Ibrahimovic. Lo svedese, che realizzando il rigore dei rossoneri è diventato il marcatore più anziano della serie A (41 e 166 giorni), è consapevole della brutta piega presa dalla squadra. Comunque dover ricorrere a un centravanti di 41 anni, oltre a non essere molto incoraggiante per il futuro, conferma che, anche nel calcio, la soglia della pensione è spostata sempre più in là (che ci sia di mezzo la Fornero?).
Ma il reparto offensivo non è l’unica fragilità del Milan. Pesa anche un calo fisico e mentale, una reattività da pensionati fermi davanti al cantiere che deve far riflettere Pioli. Anche sulla difesa, di nuovo tornata a quattro, c’è qualcosa che non quadra. Cambiare modulo ogni settimana non è un buon viatico per prepararsi alla sfida di Champions con un Napoli che asfalta tutti.
Fiorentina sette bellezze
La squadra viola, dopo il successo in Conference League, trova comunque le energie per centrare la sua settima vittoria consecutiva. E lo fa superando il Lecce grazie a un autogol di Gallo che però permette alla Fiorentina di continuare la sua scalata alla classifica. È un momento magico per la squadra dell’allenatore Italiano che sta imparando a vincere anche senza andare a tutto gas. Vincere le partite in cui si rischia di andar sotto è una doppia vittoria.
Bene anche l’Atalanta che, battendo sabato l’Empoli 2-1, è tornata a vincere dopo un periodo di vacche magre in cui aveva raccolto solo un punto in quattro partite. La squadra di Gasperini, vincendo in rimonta grazie a una rete in extremis di Hojlund, non è che abbia proprio brillato, anzi. Però ci ha messo cuore. E quando ci metti il cuore anche la fortuna ti dà una mano.
loading...