Ansia- 19, come il Covid sta trasformando la nostra mente
La paura di ogni contatto. Un profluvio di gel e mascherine. Piccole e grandi fobie sempre più diffuse. Breve viaggio nella mente personale e collettiva per provare a capire meglio - grazie all'aiuto di Stefano Bolognini, che ha guidato l'associazione internazionale dei terapeuti fondata da Sigmund Freud, ma anche grazie alle parole di un bambino di cinque anni (mio figlio!) – come il virus agisce sull'equilibrio della nostra psiche
di Elena Montobbio
9' di lettura
L'ho visto corrermi incontro dall'altra parte del parco, piangeva e urlava. «Mamma, Sebastian mi ha fatto una pernacchia in faccia». «Pazienza, dico io, è una pernacchia, stavate giocando assieme». «Ma Sebastian ha il raffreddore, mamma, e tu dovresti essere preoccupata che io mi prendo (l'uso del congiuntivo a 5 anni non si può dare per scontato, nda) il virus». Alzo lo sguardo alla ricerca di quello della mamma di Sebastian che, da dietro la mascherina, annuisce e a sua volta corre a coprire la bocca al figlio. Bene – e deglutisco – Sebastian ha il raffreddore, speriamo non siano i primi sintomi del Coronavirus.
Sarebbero dovuti essere entrambi a scuola ma, alle otto e venti di quella mattina di metà settembre, il telefono di tutti i genitori –anche il mio e quello della mamma di Sebastian – è squillato per avvisarci che la struttura restava chiusa. Ecco, ho pensato subito, siamo già in ballo con il Covid-19; e invece no, siamo in ballo con un'invasione di ratti che ha fatto il nido proprio nell'aula di mio figlio, la classe rossa. L'ordine delle preoccupazioni allora immediatamente cambia: dalla paura della febbre con crisi respiratorie, dal contagio ai nonni, passiamo nell'arco di una manciata di minuti a domandarci se la peste nera o la leptospirosi non siano peggio. La sera stessa racconto tutto a un'amica: «Io oggi invece ho comprato i fiori di Bach per mia figlia», mi dice, «ha l'ansia di andare a scuola. Ero in coda dall'erborista e le persone davanti a me compravano rimedi naturali per abbassare il livello di stress o dormire meglio la notte. È in quel momento che ho pensato di acquistare qualcosa che potesse aiutare anche lei». «E te li hanno dati?», chiedo io. «Oh sì, e mi ha anche detto che, da quando sono ricominciate le lezioni, non ha mai venduto così tante boccette per bambini». Non sono l'unica, quindi, ad avvertire un latente stato di ansia, come minimo sono in compagnia di qualche alunno della scuola elementare e materna…In realtà sono in compagnia di molte, moltissime più persone.
La pandemia sta provocando una serie di conseguenze sulla psiche così profonde da aver spinto l'Organizzazione mondiale per la sanità a lanciare l'allarme sulla necessità di tutelare la nostra salute mentale. L'Oms ha anche diramato un vademecum su come affrontare il tema e quali precauzioni adottare distinguendo varie categorie della popolazione: anziani, personale sanitario, parenti delle vittime, persone contagiate, bambini. Mal comune, mezzo gaudio? Mica tanto. Non in un mondo così interconnesso dove uno starnuto in Cina genera una crisi sanitaria, economica e sociale di portata planetaria. Il 10 ottobre, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, anche il presidente della Repubblica rilancia l'allarme. Sergio Mattarella sottolinea come «la pandemia abbia prodotto, tra le sue tragiche conseguenze, un incremento delle condizioni di disagio psichico», conferendo al mio stato d'animo un'inaspettata cornice istituzionale.
Per avere le idee un po' più chiare su quelle che è accaduto, accade e accadrà alla nostra mente, contatto Stefano Bolognini, medico psichiatra e psicoanalista, primo italiano a essere nominato presidente (tra il 2010 e il 2017) dell'International Psychoanalytical Association(IPA), voluta nel 1910 da Sigmund Freud, che oggi conta 12mila iscritti appartenenti a 70 diverse associazioni professionali. L'intervista dura 45 minuti esatti, praticamente una seduta dal terapeuta. Dopo i saluti, ammetto di sentirmi un po' meglio; più sollevata, sicuramente, rispetto a quando ho partecipato al test Covid-19 e salute mentale condotto dal Dipartimento di Salute Mentale dell'Università della Campania Luigi Vanvitelli in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità e nove atenei italiani. Online dai primi di aprile, dopo due settimane dalla sua pubblicazione era già stato compilato da 20mila utenti. Il link è ancora attivo e tutte le risposte sono in forma anonima; i risultati saranno invece disponibili una volta concluso lo studio.
Sei contenta delle persone con cui vivi? Sì.
Hai pensieri ricorrenti angoscianti? A volte.
Dormi la notte? Sì.
Hai problemi a concentrarti? A volte.
Hai pensato al suicidio negli ultimi sette giorni? No, per fortuna.
Perché se ne è parlato poco, ma nelle settimane del lockdown – mentre aspettavamo trepidanti il bollettino quotidiano della Protezione civile dei nuovi contagi e dei decessi – si sono registrati nel nostro Paese 42 suicidi (due tra il personale medico sanitario) e 36 tentativi di suicidio. Nei corrispondenti mesi del 2019, le morti erano state 14. E allora, dottor Bolognini, come stiamo ora, come siamo stati durante quei mesi di clausura e come staremo (mi dica come sto, vorrei chiedergli in realtà, andrà tutto bene, vero? Il sondaggio dell'Istituto Superiore di Sanità fa solo domande, ma non mi dà alcuna risposta, i contagi stanno risalendo, in questi giorni si parla di possibili lockdown su scala locale, l'ansia cresce, nda). «Ci troviamo a metà tra la paura, sentimento che proviamo quando il pericolo è noto,e l'ansia che caratterizza il nostro stato d'animo quando siamo in allarme per qualcosa che non conosciamo. Quando l'ansia supera una certa soglia subentra l'angoscia, da angustia, stretto, ristrettezza di respiro, e il passaggio successivo è il panico con la disorganizzazione della mente».
Secondo il terapeuta bolognese, abbiamo già attraversato tre fasi. La prima, quella del blocco nazionale primaverile, è stata caratterizzata da un forte disagio collettivo: tutto è avvenuto in modo troppo veloce e la mente non ha avuto il tempo per elaborare quanto stava accadendo. È stato un evento traumatico. «Dopo i primi giorni caratterizzati da musica e ottimismo, abbiamo tutti smesso di ridere. Eppure, molte affezioni psichiatriche sono diminuite di colpo. Come è accaduto anche in passato durante le guerre, l'angoscia per la pandemia ha momentaneamente acquietato moltissimi disturbi della psiche». Il nemico tra marzo e giugno si è spostato da dentro di noi a fuori di noi, per le strade, nei supermercati, negli ospedali. Con l'arrivo dell'estate, siamo entrati in una breve fase caratterizzata dalla speranza. «Una breve speranza, però, dettata dal fatto che il virus sembrava aver perso di forza che e i nuovi contagiati erano in diminuzione». Da quando anche questa prospettiva è stata smentita e i numeri degli infetti hanno ripreso a salire, ci troviamo, invece, in una fase «di maggiore depressività: la nuova ondata emotiva è caratterizzata dall'aspetto temporale. Quanto durerà ancora? Quando finirà? Se è stato accettabile, pur con forti sacrifici, restare chiusi in casa per un paio di mesi, davanti alla prospettiva che la pandemia possa peggiorare e durare ancora a lungo abbiamo la sensazione che ci stiano portando via una grande fetta della nostra vita». Il Coronavirus sta cambiando in ognuno di noi la percezione del pericolo, aumenta l'intolleranza all'incertezza e al rischio. Le grandi città fanno paura, c'è chi progetta cambi di vita radicali. Gli esperti ipotizzano, come già testimoniato da alcune analisi condotte in Cina, un rapido incremento di casi di “disturbo da stress post traumatico” non convenzionale. Uno stato di stress individuale e comunitario allo stesso tempo, subdolo, persistente.
Che lo stress da pandemia sia una condizione del tutto nuova rispetto a quanto è noto nella pratica clinica e descritto nella classificazione dei disturbi mentali – il DSM-5, bibbia delle malattie psichiatriche – lo sostengono anche Massimo Biondi (ordinario di Psichiatria, direttore della Scuola di specializzazione in psichiatria del Dipartimento di neuroscienze umane e salute mentale alla Sapienza di Roma) e Angela Iannitelli (membro della Società psicoanalitica italiana - Spi e dell'International Psychoanalytical Association), nel loro studio Covid-19e stress da pandemia: l'integrità mentale non ha alcun rapporto con la statistica: «Le manifestazioni della rabbia, nelle forme auto dirette ed etero dirette, costituiranno sicuramente un'urgenza nel prossimo futuro», scrivono i due esperti.
Ma quindi, dottor Bolognini, che cosa possiamo fare?.
«Per proteggersi dal dolore, la mente umana mette in campo forme di difesa di tre tipi: c'è chi, soffrendo, lo affronta; chi ha un atteggiamento di negazione del problema; chi ha una reazione sproporzionata, sopra le righe, come tutti coloro che hanno partecipato alle manifestazioni senza mascherine all'urlo “Il Covid-19 non esiste”».
Questi ultimi tendono a sfidare il Coronavirus pensando che a loro non possa succedere, che sia una malattia che colpisce solo pochi sfortunati; convinzioni che hanno cominciato a vacillare quando anche i personaggi famosi e i potenti della Terra che avevano avuto un atteggiamento analogo sono risultati positivi al tampone». Dall'altra parte della barricata rispetto a chi tende a minimizzare, c'è chi vive costantemente nel timore: «In una simile circostanza, i fobici trovano un terreno ideale per costruirsi il mondo persecutorio di cui hanno bisogno», conclude Bolognini.
I comportamenti che potrebbero rientrare nello spettro delle malattie da disturbo ossessivo compulsivo (Doc) hanno “contagiato” molti di noi. Ci laviamo le mani decine di volte al giorno, ci cospargiamo di gel alcolici dopo aver toccato una maniglia, disinfettiamo tutto il possibile. La rupofobia è un'ansia patologica che prova chi ha paura dello sporco, della contaminazione, della possibilità di contrarre malattie in ambienti considerati poco sicuri. Conferma Bolognini: «È vero, ma non dobbiamo deriderci per questo. Siamo ancora dentro la pandemia, prendere serie precauzioni non vuol dire essere fobici, ma avere buon senso». Un altro aspetto che ha incrementato l'ansia è stato sentire pareri così discordanti provenire dal mondo scientifico e accademico. Opinioni diverse sulle misure da adottare, le previsioni e le cure rafforzano il diritto ad avere paura. Sentiamo il bisogno di una verità scientifica inequivocabile a cui appigliarci, eppure «la gente ha capito che quello che sappiamo è ancora largamente deficitario. Ma è normale che i virologi abbiano visioni diverse: sono persone, tra loro esiste chi è più “positivo” e chi ha una visione più pessimista. E poi esistono almeno quattro categorie di virologi (i clinici, i ricercatori puri, gli istituzionali e gli epidemiologi) che, pur studiando tutti il Covid-19, lo affrontano con approcci diversi», rassicura Bolognini.
L'Oms ha coniato un neologismo – infodemia – per indicare l'eccesso di informazioni che circonda l'epidemia, un contagio di contenuti angoscianti e contraddittori. «Ultimamente passi più tempo su internet? Quante ore in una giornata?». C'era anche questa domanda tra quelle poste dal sondaggio dell'Istituto superiore di sanità a cui accennavamo prima. Più infetti, meno infetti, più tamponi, meno tamponi, stabili i decessi... Così, ogni giorno, dallo scorso febbraio. In Francia no, hanno scelto un'altra linea: i telegiornali e le radio non danno il bollettino quotidiano dei caduti. Vivono forse più sereni? Sono forse più inconsapevoli? Bolognini sostiene che in Italia non ci troviamo ancora in una fase di infodemia (lo abbiamo intervistato a metà ottobre); anzi, bisogna che la consapevolezza cresca, anche se passa attraverso una comunicazione un po' angosciante.
Secondo alcuni studi italiani e internazionali, ad accusare di più la pandemia a livello psichico sono le donne (anche per il “carico” dei figli senza scuola mentre lavorano da casa, come ha sottolineato una ricerca dell'American Psychological Association), gli anziani isolati dai propri affetti e il personale sanitario. Ci sono medici anestesisti e rianimatori che hanno deciso di abbandonare la loro specialità perché troppo scioccati da quanto hanno vissuto nei mesi più duri, mentre dal reparto di ginecologia dell'Ospedale Sacco di Milano raccontano che mai come di questi tempi hanno dovuto richiedere l'intervento dello psichiatra per attacchi di panico post parto. Il Rapporto sull'uso dei farmaci durante l'epidemia Covid-19 anno 2020 dell'Aifa (Agenzia italiana del farmaco) mostra l'evoluzione nella vendita di antipsicotici e ansiolitici: tra lo scorso febbraio e marzo, si è passati da 16,92 confezioni di antidepressivi venduti al giorno ogni diecimila abitanti a 18,78, e da 24,10 confezioni di ansiolitici a 27,50.
Le persone più angustiate si rivolgono sempre più agli specialisti per cercare un aiuto, eppure gli psicologi che operano gratuitamente nei consultori non sono abbastanza. Ma come hanno funzionato le terapie durante la quarantena? «Bene», risponde Bolognini, che ancora non ha ripreso gli incontri in presenza. «Nonostante una diffusa abiura da parte degli psicoanalisti riguardo alle sedute da remoto, ci siamo dovuti ricredere. Ogni coppia paziente-terapeuta ha trovato il suo metodo. C'è chi ha preferito il telefono, chi Skype con il video sempre acceso e chi invece lo accendeva solo all'inizio e alla fine per i saluti; chi si è dovuto chiudere in macchina per trovare un po' di privacy echi ha ricreato in salotto l'ambiente dell'analisi sdraiandosi sul divano e posizionando il computer con la telecamera accesa dietro la testa. Io avevo esattamente la stessa visione che ho in studio. L'unica differenza sono stati i gatti: tutti prima o poi arrivavano a sdraiarsi sulla pancia dei loro padroni. Ho fatto molti interventi guardando in faccia un gatto».
Allora ce la faremo (ce la farò anche io, nda)?
«Sì, l'uomo ha una certa plasticità, si è ripreso velocemente dalla Seconda guerra mondiale, le cose si superano sempre».
E i bambini?
«I bambini ne usciranno bene, stia tranquilla», mi rassicura.
La mattina dopo la mia intervista-seduta con il dottor Bolognini, mio figlio starnutisce mentre usciamo per andare a scuola.
«Amore, mettiti sempre la mano davanti al naso se starnutisci in classe».
«Mamma, ieri Benny ha starnutito».
«Davvero? E che cosa hanno detto le maestre?».
«Salute!».
Mio figlio sta meglio, le sue maestre anche. Io ancora non lo so.
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