Architetti e umanisti insieme: così la sostenibilità è entrata dentro i grandi progetti
Giulio De Carli.Con il socio Leonardo Cavalli ha fondato One Works, uno tra i maggiori studi italiani di architettura e ingegneria. Riflette su futuro delle città e cambiamenti del lavoroCon il socio Leonardo Cavalli ha fondato One Works, uno tra i maggiori studi italiani di architettura e ingegneria. Riflette su futuro delle città e cambiamenti del lavoro
di Roberto Bernabò
6' di lettura
La “great resignation” l’ha vista giorno dopo giorno da lassù, dalla grande vetrata del suo ufficio, al centro il mega tavolo rotondo su cui preferisce lavorare proprio per la vista sull’hangar – prima una ex officina, poi uno showroom, ora la sede del suo studio di architettura – dove dietro i grandi schermi e alle scrivanie a file orizzontali si muove una comunità di giovani talenti. «Sono veloci, curiosi. Dalle scuole italiane sta uscendo una generazione preparata, anche in quelle più periferiche che danno una formazione attenta al territorio», commenta Giulio De Carli.
L’anno della pandemia ha segnato una frattura. Voglia di mettersi in gioco, di nuove esperienze, a volte di tornare alle radici, comunque di inseguire modelli diversi di vita. Da qui un turnover senza uguali dietro le scrivanie. «Guardavo sotto e non riconoscevo tanti volti. Mai era accaduto prima. Il Covid è stato un acceleratore di processi, come questo del lavoro. Ecco: alcuni saranno permanenti, altri, sospinti dall’emotività di un momento straordinario, si ridimensioneranno. Qualche giovane ad esempio chiede di rientrare da noi».
Giulio De Carli, classe 1962, ha fondato nel 2007, con Leonardo Cavalli, lo studio globale di architettura e ingegneria One Works. Compagni di studi in Architettura al Politecnico di Milano, dopo aver percorso per una ventina di anni la propria strada professionale, si sono ritrovati e hanno costituito una boutique internazionale di progettazione centrata sulla progettazione delle infrastrutture dei trasporti, a cominciare dagli aeroporti e mega real estate. Grandi luoghi dove le persone passano, fanno acquisti, si incontrano. Così c’è la loro firma dietro l’ampliamento dell’aeroporto Marco Polo di Venezia, la piazza di CityLife a Milano, le nuove stazioni metropolitane tra Doha e Riyadh. E oggi la riqualificazione dell’aeroporto internazionale di Riga con la nuova Riga Airport Station, lo sviluppo di una grande area mixed-use a Malta, la riqualificazione urbana di King Abdul Aziz Road a La Mecca, per citare alcuni progetti.
È una cultura multidisciplinare a sorreggere l’espansione fino a fare di One Works nel 2016 lo studio italiano di architettura con il maggior giro d’affari. Da allora è sul podio. Nel 2021, il fatturato è stato di 11 milioni di euro, il portafoglio di 18 milioni, con 150 professionisti al lavoro distribuiti tra il cuore di via Sciesa a Milano e le sedi di Venezia, Roma, Dubai, Londra, Singapore, Chennai e Bangkok.
La pandemia non ha fermato sostanzialmente il lavoro, ma ha spinto a ripensarsi. Dentro l’organizzazione e nel rapporto con la progettazione. De Carli sintetizza così i cambiamenti: «Abbiamo capito che ci sono modi diversi di vivere la vita familiare e il lavoro. Abbiamo rotto degli schemi e tante volte mi chiedo: se fossimo andati avanti come prima, cosa sarebbe il traffico oggi in città e i luoghi delle interazioni tra le persone? Invece stiamo iniziando a plasmare la vita lavorativa e personale con maggiore coerenza rispetto alle necessità fisiche e intellettuali. È la conquista di una nuova libertà, che mi fa magari restare un giorno a lavorare da casa quando piove. Non abbiamo ancora il modello nuovo, siamo in una transizione, ma certe cose che non vanno le abbiamo abbandonate».
Accogliere i cambi di paradigma, è stato dunque il primo passo sul lavoro. Così, ora nel grande hangar facce ancora più junior si affiancano ai senior, per avere persone «con meno schemi, più disponibilità all’esplorazione» in un mix di lavoro in presenza, fondamentale per costruire un team – «se non prendono un caffè insieme come possono contaminarsi?» – e di smart working. E poi l’impegno a guardare con occhio ancora più articolato ai contenuti della progettazione. «Andare più veloci sul contrasto al cambiamento climatico è un’eredità forte della pandemia. In passato non abbiamo considerato il tema energia come dominante rispetto alle caratteristiche dei progetti. Oggi invece bisogna lavorare in questa direzione che ci protegge dai rischi geopolitici e va nella direzione del contrasto al cambiamento climatico».
C’è una responsabilità nuova, più forte, con cui deve fare i conti l’architetto, l’urbanista. E che ha assunto un connotato meno ideologico e più pratico come è convinto De Carli. È il frutto della declinazione dell’idea di sostenibilità. «È stata a lungo un concetto un po’ astratto. Se lo traduci in temi specifici come quello dell’energia e lo porti nel lavoro che fai, il cambiamento diventa forte. Così, non ragioniamo più in modo separato di energia, compatibilità ambientale, di paesaggio, emissioni o rumore. Non sono più un elemento di controllo sul progetto ma partiamo da queste istanze per svilupparlo. Includendo una categoria nuova: la sostenibilità sociale. Tanto che nei team abbiamo figure con percorsi umanistici per studiare da subito gli effetti che gli interventi edilizi hanno sullo spazio della città, le relazioni, le dinamiche sociali. Stiamo scardinando tanti recinti per avere una visione complessiva».
Al tavolo dove i progetti prendono vita, è seduto un altro ospite, decisivo e anche lui in trasformazione: è la finanza.
De Carli scioglie il significato della parola. «La misura di ciò che è sostenibile finanziariamente condiziona moltissimo i progetti. Non solo perché il capitale privato deve avere il giusto ritorno. Ma perché una allocazione non equilibrata di fondi produce disequilibri altrove. Allora serve maggior rigore nell’investire le risorse disponibili. Oggi vedo una maggiore consapevolezza dell’interconnessione di tutti questi elementi nella definizione della progettualità. Ma ancor di più serve la visione degli scenari evolutivi. Un esempio? La mobilità elettrica. Chi guarda i numeri del cambiamento climatico tira una riga al 2030 quando tutte le auto dovranno essere elettriche. Ma quasi nessuno ha pensato prima a come sarebbe stato un ecosistema con la mobilità elettrica e le trasformazioni indotte sulla città. Non parlo della nicchia della produzione che se Elon Musk non avesse messo sul mercato la Tesla sarebbe complessivamente ancora più indietro. No, è che non si è immaginato cosa serva a supporto della circolazione dei veicoli elettrici e quali benefici ci possano essere per le città. Tanto che stiamo ancora realizzando pompe di carburante o altre opere infrastrutturali chiaramente in contrasto con questa evoluzione. Se poi alzo lo sguardo sul mondo credo che servirebbe un grande sforzo per favorire dei salti di stato nei Paesi in via di sviluppo. O vogliamo ripetere quello che si è fatto 70 anni fa con le linee di montaggio della 1100 mandate in India quando qui avevamo già la Uno o la Tipo?»
Ecco, la visione è un po’ l’ossessione di De Carli. E la pandemia anche in questo è stato un acceleratore. Perché nel suo buen ritiro sulle colline pavesi, dove può coltivare la passione per la bicicletta, ha avuto più spazio per la riflessione.
Ed è nata l’idea di una rivista che si nutra di visioni sul mondo delle infrastrutture. Ecco allora «Domusair» (air come aviation, infrastrusctures & relations), quadrimestrale in cui si incrocia la cultura della bottega dell’architettura di De Carli – che ama stare un passo indietro, come fa anche nella professione presentandosi dietro il logo Oneworks piuttosto che con il cognome da archistar e che nella rivista intervista i più grandi professionisti internazionali – e una tradizione editoriale potente come quella di «Domus». Un luogo di idee, progetti, illuminazioni, presentate con eleganza e chiarezza, dove si delineano i percorsi del progettare infrastrutture fisiche e digitali, guardando alla salvaguardia delle risorse del pianeta e alla qualità della vita dei singoli. Un luogo per capire dove andrà, ad esempio, l’industria aerospaziale.
Ecco potrà diventare più sostenibile architetto? «Intanto i numeri dicono che il trasporto aereo non è la bestia nera degli impatti ambientali. E che è indispensabile tanto sulle lunghe distanze come per andare da Nord a Sud Italia, perché non ovunque possiamo costruire alta velocità ferroviaria. Dietro poi c’è un’industria che ha consapevolezza della sostenibilità, della relazione con i territori e fa investimenti sul Net zero carbon. Adesso poi viviamo una positiva frenata della corsa a sviluppare volumi a tutti i costi, e questo porterà maggiore equilibrio nel costruire le infrastrutture. Con un sistema aeroportuale diffuso, sostenibile finanziariamente che è necessario allo sviluppo economico e turistico del Paese, e un’intermodalità spinta che può garantire un miglior bilanciamento ambientale e funzionale. Noi, ad esempio, stiamo lavorando a progetti di seconda generazione che ottimizzano quello che c’è, aggiungendo quanto serve in
logica di connessione: come la stazione dell’alta velocità dentro l’aeroporto di Riga. E la tecnologia è sempre più decisiva: dietro l’angolo c’è già la nuova urban air mobility».
loading...