Barman e formazione: come diventare professionisti dello shaker
Primo passo frequentare una scuola. La più antica in Italia è quella dell'Associazione Italiana Barman e Sostenitori, nata nel 1949
di Maurizio Masetrelli
3' di lettura
Magari nessuno vi chiederà mai un Red Eye, cosa tutto sommato positiva visto che si tratta di vodka, succo di pomodoro, un'intera lattina di birra e un uovo crudo. Anche se non godrete del fascino che emanava Tom Cruise nel film degli anni Ottanta “Cocktail”, dove i protagonisti si preparavano il discutibile intruglio, quella del barman o barlady sembra proprio essere una carriera tornata in auge negli ultimi anni.
Sarà la suggestione del palcoscenico, in fondo il bancone di un bar questo è, oppure la moltiplicazione dei locali o la fama dei bartender più famosi, ma saper padroneggiare shaker e barspoon attrae sempre più giovani. Molti imparano presto che mescolare succhi e distillati è solo una parte del lavoro e le scuole che preparano ragazzi e ragazze al mestiere sono ormai numerose.
La storia dell’arte dello shaker in Italia
La più storica e istituzionale rimane però sempre lei: l'Associazione Italiana Barman e Sostenitori, in una parola sola l'Aibes, nata il 21 settembre 1949 da un'idea di un nobile, il conte Antonio Spalletti, e subito supportata da un manipolo di persone all'interno delle quali, strano a dirsi, figurava un solo, vero, barman. L'Aibes insomma è un caso raro di associazione fondata dai clienti dei futuri associati più che da questi ultimi e in settant'anni di attività ha “sfornato” con i suoi corsi migliaia di barman.
Il corso base
Per capire meglio come funziona un corso Aibes, ho frequentato un corso “Basic” ovvero il primo livello per chi si avvicina alla professione. Sono 6 giornate piene, ovvero mattina e pomeriggio, con molta teoria e altrettanta pratica. Quello che in gergo tecnico è definito merceologia è una sorta di compendio su tutto quello che si serve al bar, a partire dall'acqua minerale. Insomma, se si pensa di ascoltare un semplice discorsetto di benvenuto e iniziare a mulinare per aria bottiglie e bicchieri come Bruno Vanzan, artista del flair, ci si ricrede presto. Si studiano le caratteristiche dei succhi e delle bibite, ci si addentra nei meandri della fermentazione e della distillazione, s'impara a conoscere le varietà di caffè e i requisiti per ottenere un perfetto espresso al bar e infine, per ogni distillato, si devono imparare a memoria origini, produzione, differenze, disciplinari e invecchiamenti. Insomma, per l'Aibes un concetto cardine è che il bravo barman deve sapere sempre cosa sta facendo e non solo come lo si fa. Ergo, nella pratica, ogni momento “libero”, ossia quando non si è chiamati a ripetere il cocktail dimostrato dal docente, si versa a mano libera. In altre parole s'impara a versare le misure previste dalle diverse ricette, i 5 cl di Rye Whiskey del Manhattan o i 4,5 di gin di un Gin Fizz, senza l'aiuto del jigger, che è il “misurino” che serve proprio a non sbagliare dosi. Una cosa più facile a dirsi che a farsi.
Il pressure test
Poi arrivano le nozioni base: dal rispetto del ghiaccio, usato praticamente dovunque per refrigerare contenitori e contenuti, a come manovrare un barspoon, dal divieto assoluto di shakerare liquidi gasati, a scanso di “esplosioni”, al mantra ripetuto fino all'ossessione di saper gestire la propria postazione di lavoro. Lasciandola sempre pulita e con tutti gli strumenti al loro preciso posto. Infine i cocktail, che non devono essere semplicemente conosciuti ma, per quanto riguarda quelli codificati dall'International Bartenders Association, imparati a memoria per ingredienti, quantità, tecnica di preparazione e decorazione. Una sorta di “pressure test” al cui confronto quelli di Masterchef sembrano facili.
Le prove d’esame
La prova d'esame è duplice: lo scritto che include pure qualche risposta “aperta” e l'orale nel quale si risponde alle domande dell'esaminatore. Il che tutto sommato potrebbe anche essere piuttosto fattibile se non fosse per il fatto che, mentre si cerca di formulare delle risposte pertinenti, si deve allo stesso tempo preparare il cocktail richiesto senza fare errori. Con il risultato che un emisfero cerebrale tenta di ricordare tutte le sottozone del whisky scozzese, mentre, l’altro si affanna per azzeccare i centilitri esatti di succo di limone che servono per il Whiskey Sour.
Ma anche questa è forse la lezione più importante che l'Aibes trasmette senza dirlo. Ovvero insegna che il barman non è solo colui che prepara i cocktail al bancone e sa far quadrare i conti del bar, ma un padrone di casa che può dialogare con il cliente, incuriosirlo sulla storia e le caratteristiche della ricetta che sta preparando, affascinarlo con le leggende e gli aneddoti di cui questo mondo è ricchissimo. Il suo vero fascino, e la sua grandezza, risiede in questo. E non c'è nemmeno bisogno di assomigliare a Tom Cruise.
NB: non è più una professione dove il genere maschile fa la differenza, anzi.
Vedi: Al bancone di «lady cocktail»: svelati i segreti delle regine dello shaker
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