Bawah Reserve, sogno ecologista nel mare indonesiano
Edifici fatti di legno e pietra locale, ingredienti dall’orto, progetti per le comunità locali: il progetto dell’imprenditore di Singapore Tim Hartnoll vuole essere un modello di turismo consapevole
di Sara Magro
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Mentre stava navigando nelle acque serene nell’arcipelago di Anambas, nella parte occidentale dell’Indonesia, l’imprenditore di Singapore Tim Hartnoll capitò per caso in un anello di sei isolette attorno a una laguna: una meraviglia incontaminata e disabitata. Al ritorno da quella vacanza si informò sulla proprietà di quel gioiello, e con pazienza iniziò a spuntare la lista di eventuali aventi diritto di prelazione e sbrigare le burocrazie per acquisirlo e realizzare così il suo sogno: preservare la sua straordinaria bellezza e condividerla con più persone possibile.
Era il 2012, e nasceva così il progetto di Bawah Reserve. I lavori per realizzare l’ecoresort nell’arcipelago iniziarono l’anno seguente. Tutto doveva essere eseguito nel modo più sostenibile possibile: senza tagliare alberi né importare materiali, con maestranze e artigiani indonesiani. Infatti, buona parte del legno usato per le strutture è stato recuperato dal mare o dai tronchi crollati sull’isola, e laddove non bastava, è stato usato il bambù, materiale disponibile in abbondanza e che cresce molto più velocemente di qualunque altro arbusto. Non una sola pietra è stata portata da fuori, sono state tagliate una per una a mano, con un metodo antico: si surriscalda la roccia con il fuoco e quando raggiunge la temperatura desiderata vi si getta sopra l’acqua del mare, che con lo shock caldo/freddo si crepa e si rompe facilmente con un colpo di piccozza. Così sono stati realizzati i migliaia di pezzi per l’acciottolato di vialetti, piccole piazze d’incrocio, terrazze. Con queste idee e scelte radicali, sono occorsi cinque anni per completare le 36 ville, alcune sulla spiaggia altre sull’acqua, la spa con la dépendance nella giungla, il ristorante sull’albero, e i dettagli degli interni: le boiserie di bambù intrecciato, i lampadari in macramé, gli oggetti, tutto rigorosamente “hand made”. E nel 2018, finalmente, Bawah Reserve è stata inaugurata.
In Indonesia le acque sono di appena un grado più fresche di quelle delle Maldive, quanto basta per preservare le distese di coralli blu, gialli, rossi popolati da pesci colorati e squaletti innocui. E basta andare un po’ al largo per incontrare razze giganti, tartarughe e i paciosi squali balena, che rendono indimenticabile la spedizione. Sott’acqua e sopra, Bawah è quel tipo di isola che rende tangibile la nostra idea di paradiso.
E sfatiamo l’idea che su un’isoletta ci si annoia. I fondali marini sono mondi da esplorare, come la savana con i leoni e gli elefanti e le città con i loro musei e monumenti. Anche sott’acqua ci sono sculture che si sono formate in secoli di deposito calcareo, e pesci a pallini bianchi e neri che sembrano dipinti da Yayoi Kusama. Il resto del tempo scorre piacevolmente, con momenti magici come il risveglio, prestissimo, per guardare la luna che cala a ovest mentre a est sorge il sole. Con sei ore di anticipo sul nostro orologio, il jetlag aiuta a godersi quel momento senza puntare la sveglia: alle 5 del mattino siamo ancora sintonizzati sulle attive 23.
A Bawah coglie una sorta di frenesia di provare ogni attività, dal trekking nella giungla all’osservazione delle stelle, dallo yoga alla pittura batik. Tutto incluso, anche un’ora di massaggio al giorno. Si pagano a parte solo gli alcolici, lo scuba diving e pochissimo altro. Nell’intenso programma è previsto anche un giro nel backstage, dove c’è l’orto in permacultura, si riciclano rifiuti e acque nere e si trasforma l’energia solare in elettricità che alimenta il 60% del complesso, «e presto arriveremo al 100% - assicura il general manager Raymond Saja - . Quest’attività è il nostro modo di essere trasparenti. Non siamo perfetti, ma lavoriamo per conservare questo posto com’è. Comunque, da quando siamo arrivati, la barriera corallina è addirittura cresciuta: è bastato eliminare la pesca illegale locale, e flora e fauna sottomarine sono tornate a vivere». Poi c’è il lavoro dietro le quinte della Anambas Foundation, che si prende cura dell’arcipelago nel suo insieme, tutelando l’ecosistema e aiutando la comunità locale, con impieghi nei cantieri e nella manutenzione del resort, ma anche con lezioni di inglese e programmi di emancipazione femminile.
Sull’isoletta di fronte, Elang, è stato appena inaugurato un nuovo mini resort, composto da sei ville per una vacanza in famiglia o con gli amici. È in piccolo lo stesso concetto di Bawah, solo più intimo e ovviamente di ultima generazione, per cui il bambù sostituisce persino le travi e i pilastri di cemento su cui poggiano le suite con ampie terrazze, piscina e discese private al mare. Gli ospiti possono raggiungere l’isola principale con la barchetta tradizionale che fa la spola su richiesta.
C’è molta privacy, ma anche una sana convivialità: a furia di incontrarsi, i pochi ospiti (anche singoli, sempre più numerosi) cominciano a salutarsi, a sedersi vicini al ristorante e a scambiarsi opinioni sulle avventure marine e su cosa ordinare: una pizza classica cotta nel forno a legna o tagliolini all’indonesiana saltati con gamberi e verdure e un bell’uovo fritto sopra? Da bere, acqua tonica, ginger beer o cola, ma non quelle in lattina delle multinazionali, bensì fatte in casa con sciroppo e acqua di mare dissalata e poi gasata. Su questa isoletta nel Mare Cinese Orientale hanno già messo in pratica tutte le idee del più virtuoso turismo contemporaneo.
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