Bollette, tutte le voci che tengono alti i costi sul libero mercato
La ragione non è legata al fatto che ci sono oscuri speculatori in manovra ma a una serie di fenomeni collegati tra loro e innescati dalla crisi seguita alla guerra in Ucraina e alla dipendenza della produzione di energia elettrica dal gas
di Laura Serafini
I punti chiave
4' di lettura
Il prezzo del gas sull’ormai nota piattaforma olandese Ttf da qualche settimana ha trovato pace: è sceso dai picchi dei 300 euro a megawattora dell’estate scorsa e oscilla ormai senza scosse attorno a 70 euro a megawattora.
E se nei mesi scorsi quei balzi di prezzo erano stati immediatamente responsabili dell’aumento delle bollette elettriche, oggi il percorso inverso non ha lo stesso piglio e l’elettricità, anche per chi sceglie il prezzo indicizzato (sia sul libero mercato che nella maggior tutela), continua a essere cara. Le bollette del gas, invece, stanno tornando sui livelli di inizio 2022.
La ragione non è legata al fatto che ci sono oscuri speculatori in manovra ma a una serie di fenomeni collegati tra loro e innescati dalla crisi seguita alla guerra in Ucraina e alla dipendenza della produzione di energia elettrica dal gas. Anche sulla componente energia della bolletta elettrica, dunque il costo della materia prima diverso dagli altri oneri di sistema che in Italia vengono scaricati sui bollettini di luce e gas, incidono svariate voci.
Il peso del prezzo della C02
Sui prezzi all’ingrosso incidono in modo significativo due componenti. Una delle più significative è il costo della C02, ovvero quei certificati che le imprese che producono energia da combustibili fossili (carbone, gas) devono comprare per compensare l’effetto inquinante ed essere in linea con i parametri di sostenibilità. Ebbene dal primo gennaio 2021 il costo di questi permessi (European union allowances, Eua) è salito da 33 euro a tonnellata per raggiungere 80 euro a tonnellata. Si calcola che l’effetto sul prezzo dell’energia elettrica (il Pun in Italia) sia pari a un incremento di 3 euro a megawattora rispetto a un Pun che a dicembre ha avuto in valore medio di 294 euro a megawattora (0,294 euro a kilowattora).
A far crescere il prezzo delle Eua non è stata soltanto l’accelerazione della Commissione europea sui target della sostenibilità con il Green Deal e il con RepowerEu, ma anche la crisi energetica seguita alla guerra in Ucraina e la riduzione della generazione di energia rinnovabile dovuta alla siccità.
Lo spread tra costo della generazione a gas e il prezzo dell’elettricità
Alla formazione dei prezzi all’ingrosso contribuisce anche il Clean spark spread, che in sostanza esprime il differenziale tra il costo del gas per generare elettricità attraverso una centrale termoelettrica e il prezzo dell’energia elettrica stessa (il Pun appunto). Questo spread si è progressivamente allargato negli ultimi 8 mesi, passando da 12-20 euro a megawattora a picchi di 64 euro durante l’impennata dei prezzi del gas dell’estate scorsa, per attestarsi a 19 euro a dicembre. Il restringimento di questo spread è dovuto alla riduzione dei consumi di energia per il clima mite e ad un aumento della generazione rinnovabile, in particolare quella eolica. Il differenziale resta comunque più ampio rispetto a inizio 2022.
L'effetto dei picchi di domanda e il rischio insolvenza
A formare il prezzo della componente energia concorrono anche le policy delle imprese per coprirsi dai rischi e remunerare, in base alle norme del settore, gli operatori del mercato. E qui entrano in gioco almeno tre componenti. C’è quello che in gergo viene chiamato “effetto profilo” e che copre l’impresa rispetto al gap tra energia venduta a un determinato prezzo e consumo effettivo del cliente a fronte di picchi improvvisi dei prezzi. L’impennata dei prezzi della scorsa estate ha scaricato sulle utility importanti perdite dovute al fatto che esse si sono trovate a vendere energia a prezzi ben più bassi (previsti dai contratti a prezzo fisso) rispetto agli acquisti sul mercato spot (a prezzi lunari) necessari per fare fronte ai picchi di consumi trainati dall’ondata di calore. La preoccupazione che possa riprospettarsi uno scenario simile si traduce in un rischio che ora viene coperto con un aumento medio di 15 euro a megawattora. Poi ci sono gli oneri per lo sbilanciamento (da riconoscere per diversi consumi dei clienti rispetto al programma giornaliero comunicato ai gestori di rete da ogni operatore commerciale) che sono aumentati di 5 euro a megawattora. E infine una sorta di rischio insolvenza (unpaid ratio) aumentato per l’effetto delle oscillazione del prezzo, al di là del fatto che ci sia stato un aumento delle insolvenze, e che ha determinato un incremento stimato in 5-10 euro a megawattora.
Fatte le somme sono 50 euro in più a megawattora
Se si sommano tutte queste voci, tra fattori che incidono sui prezzi all’ingrosso e quelli che condizionano le politiche commerciali, si arriva a un costo aggiuntivo di 40-50 euro a megawattora che può contribuire a spiegare perché il costo della bolletta elettrica, anche con i contratti indicizzati al prezzo variabile, si riduce molto più lentamente rispetto a quello della bolletta del gas al calare delle quotazioni sulla piattaforma Ttf. In Italia, poi, comincia a incidere anche l’effetto del disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità da quello del gas: la decisione, assunta a ottobre 2022, di vendere direttamente alle imprese energivore una quota dell’energia generata da fonti rinnovabili, che per definizione costa di meno, fa sì che il Pun medio si formi sulla base di prezzi di partenza più elevati perché è maggiore l’incidenza dell’energia elettrica prodotta da gas o da carbone, le cui centrali sono meno efficienti e producono a costi più elevati.
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