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“Bones and All”, Guadagnino scuote la Mostra di Venezia con un film di grande fascino

In concorso il nuovo lungometraggio del regista italiano si prepara a far discutere, così come “Athena” di Romain Gavras

di Andrea Chimento

2' di lettura

A Venezia è il giorno di Luca Guadagnino: il regista italiano torna in concorso alla Mostra del Cinema quattro anni dopo “Suspiria” e si prepara nuovamente a far discutere con la sua ultima fatica, “Bones and All”.
Al centro della narrazione c'è Maren, una diciottenne che si ritrova sola dopo l'abbandono del padre. La ragazza ha continui impulsi di cannibalismo che la costringono a restare emarginata e a nascondersi dal resto del mondo: un giorno, però, incontra un uomo vittima della stessa, terrificante situazione e, a breve distanza, un ragazzo di cui finirà presto per innamorarsi.

Prendendo spunto dal romanzo omonimo di Camille DeAngelis, Guadagnino ambienta per la prima volta un suo lungometraggio negli Stati Uniti e firma un road movie che ha tanto a che fare con le pellicole statunitensi della New Hollywood: possono venire in mente film come “La rabbia giovane” di Terrence Malick seguendo il percorso di questi due ragazzi tra gli stati americani, mentre lasciano dietro di loro una lunga scia di sangue.

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Guadagnino aveva già raggiunto la piena maturità con “Chiamami col tuo nome” e si era confermato con il bellissimo – e altrettanto controverso – “Suspiria”, due pellicole che, insieme anche alla sua serie “We Are Who We Are”, sono fortemente collegabili per diverse ragioni con questa nuova opera.

Un racconto di formazione profondo e toccante

Il tema del cannibalismo diventa presto una metafora del disagio della crescita e delle relazioni umane in questo potente racconto di formazione che, tra le altre cose, è anche un ottimo film d'amore, capace di toccare corde emotive particolarmente profonde. La regia di Guadagnino è sempre efficace nella gestione dei tempi di montaggio e le immagini si fanno aiutare dalla notevole colonna sonora, firmata da Trent Reznor e Atticus Ross, che contribuisce non poco all'elegante resa complessiva del lungometraggio.All'interno del ricco cast – che comprende Timothée Chalamet, Chloë Sevigny, Michael Stuhlbarg e Mark Rylance – la migliore è proprio la giovane protagonista Taylor Russell che recita qui nel primo film davvero importante della sua carriera.

Athena

Un altro prodotto capace di scuotere è “Athena” di Romain Gavras, presentato sempre in concorso.Dopo la morte del fratello minore a causa di un presunto scontro con la polizia, Abdel torna a casa e ritrova la sua famiglia devastata. Intrappolato tra il desiderio di vendetta del fratello minore Karim e gli affari criminali del fratello maggiore Moktar, cerca con fatica di calmare le tensioni sempre crescenti. Quando però la situazione degenera, Athena (la loro comunità̀) si trasforma in una fortezza sotto assedio.È un vero e proprio film di “guerra” questa pellicola che parla in maniera parossistica degli scontri all'interno delle banlieue, attraverso uno sguardo politicamente ambiguo ma senza dubbio efficace nel dare vita a scene particolarmente spettacolari.Ne è un esempio il magnifico piano-sequenza iniziale, ma anche altri passaggi durante la narrazione non lasciano certo indifferenti.L'andamento di “Athena”, anche attraverso riferimenti alla tragedia greca, è coinvolgente e lo stile del regista (figlio di Costa-Gavras) fortemente contemporaneo, mentre è un peccato vedere un finale poco ispirato e non necessario, che sembra un po' appiccicato al termine della vicenda principale che è stata raccontata.Da sottolineare che alla sceneggiatura ha contribuito anche Ladj Ly, autore de “I Miserabili” del 2019.

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