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Carceri, un detenuto su 3 ha un lavoro (ma il dato potrebbe raddoppiare)

Sono 18.600 su 55mila i carcerati che hanno un impiego. Di questi, circa 2.400 lavorano all’esterno. Spinta delle aziende per far crescere il progetto

di Davide Madeddu

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4' di lettura

Un lavoro per una nuova vita. La seconda chance per chi sconta una pena in carcere passa anche da un nuovo impiego in azienda, spesso assicurato dalle imprese che entrano negli istituti di pena per garantire un’occupazione all’esterno. Il campo delle possibilità spazia dall’edilizia all’agricoltura, dalla falegnameria alla panetteria per arrivare sino al call center e alle telecomunicazioni. Lavoro che è non solo alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria ma pure in aziende vere e proprie. Fenomeno, quest’ultimo, che in Italia assicura lo stipendio a oltre duemila carcerati ma che in prospettiva potrebbe raddoppiare, almeno in termini di cifre. I dati, a tal proposito, sono eloquenti.

I numeri del fenomeno

Su un totale di 54.841 detenuti, i lavoranti sono complessivamente (il dato è al 30 giugno 2022) 18.654. Di questi 16.181 sono alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, mentre i lavoranti non alle dipendenze dell’amministrazione sono 2.471. Il quadro generale si ferma al 31 dicembre del 2021. E parla di un mondo “parallelo” che conta, distribuite in 26 categorie, 247 attività svolte (110 delle quali a carico dell’amministrazione penitenziaria) in cui si spazia dall’assemblaggio e riparazione componenti elettronici alla calzoleria, continuando con data entry e dematerializzazione documenti, e poi la falegnameria per arrivare al lanificio tessitoria con 333 occupati.

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Una platea potenziale di 2.300 lavoratori «pronti»

Secondo una stima del ministero della Giustizia, i detenuti potenzialmente pronti per un nuovo lavoro anche all’esterno del carcere sono oltre 2.300. A delineare questo scenario in cui la pena si unisce all’attività lavorativa, i protocolli siglati negli ultimi mesi dall’amministrazione penitenziaria. A giugno, per esempio, c’è stata la svolta con il mondo delle telecomunicazioni che ha varcato le sbarre delle carceri a valle del Memorandum d’intesa del programma Lavoro carcerario siglato dall’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia e l’allora ministro dell’Innovazione tecnologica Vittorio Colao e in collaborazione con gli operatori delle tlc. Due le strade seguite in quest’ambito e nove le aziende impiegate. Nello specifico si tratta di Fastweb, Linkem, Tiscali, Sky, Telecom Italia, Vodafone e Windtre. Le aziende porteranno avanti attività di rigenerazione degli apparati terminali di rete tramite laboratori dedicati all’interno delle carceri. Dovrebbero venir coinvolte fino a 200 persone tra gli istituti di Lecce, Roma Rebibbia, Torino e Uta (Cagliari).

L’adesione alle attività «all’esterno»

C’è poi anche l’attività all’esterno, cui hanno aderito Open Fiber, Sielte e Sirti per la realizzazione delle reti di accesso. Questa iniziativa prevede che i detenuti possano lavorare anche all’esterno del carcere, per realizzare la posa e giunzione delle reti in fibra ottica. Su questo fronte sono stati individuati complessivamente 2.326 detenuti con i requisiti potenziali personali e di legge in grado di lavorare anche all’esterno.

La prima fase del progetto avrà carattere di sperimentazione su tre istituti che saranno in grado di formare circa 100 detenuti in sei settimane. Proprio in questo ambito, recentemente, il gruppo Sirti e Open Fiber hanno definito il programma di Lavoro Carcerario nella struttura penitenziaria di Rebibbia e che il 14 dicembre ha visto l’ufficializzazione dell’assunzione di 7 detenuti. Si tratta di persone che dopo il completamento del percorso formativo, «entreranno nelle squadre di Sirti e del consorzio Open Fiber Network Solutions (OFNS) come addetti per le attività di giunzione di fibra ottica per le infrastrutture di rete in Italia» nell’ambito del progetto “Programma Lavoro Carcerario”. Una partecipazione che, come sottolinea Ivan Rebernik, direttore Personale, Organizzazione e Servizi di Open Fiber «offre ai detenuti una nuova opportunità potenziando la funzione rieducativa della pena».

In viaggio anche il protocollo del 19 ottobre, siglato tra Commissario straordinario per il sisma, la Cei, l’Ance e l’Anci con cui si prevede che i detenuti di dieci province delle regioni Abruzzo, Lazio, Molise, Marche e Umbria possano avere l’occasione di lavorare nei cantieri di oltre 5mila opere di ricostruzione pubblica e in quelli di 2.500 chiese danneggiate dal terremoto 2016. Un’occasione, come sottolineato dal vicepresidente dell’Ance Piero Petrucco, anche per le imprese «di formare nuova manodopera in opere importanti per la rinascita di un territorio ferito dal terremoto».

Le aziende ammesse alle agevolazioni

A guardare positivamente l’introduzione del lavoro in carcere i rappresentanti del volontariato che si occupa di detenuti e strutture penitenziarie. «Si tratta senza dubbio di attività di alto valore e molto importanti - commenta Andrea Scandurra, responsabile Osservatorio carceri dell’associazione Antigone - con un lavoro vero e proprio che va oltre quello che si può compiere dentro che, molto spesso viene svolto a rotazione ed è una sorta di welfare interno». A favorire l’attività imprenditoriale in carcere i benefici della legge Smuraglia. Complessivamente sono 349 le aziende che, per un ammontare complessivo di 9.399.892,94 euro sono state ammesse alle agevolazioni per il 2022.

«Uno dei vantaggi per le aziende che decidono di intervenire riguarda i costi - aggiunge ancora Scandurra - che, nella maggior parte dei casi non sono a carico delle imprese». E poi gli sgravi fiscali. Le aziende che assumono detenuti o internati all’interno degli istituti penitenziari o lavoranti all’esterno, possono giovarsi di un credito d’imposta per ogni lavoratore assunto, nei limiti del costo per esso sostenuto, di 520 euro mensili. Una cifra che scende a 300 euro mensili se gli assunti sono semi liberi. Occasioni irrinunciabili, come sottolinea Andrea Scandurra, che rimarca l’importanza di un lavoro «vero e proprio che va oltre quello che si può compiere dentro». Un’occasione per riscattarsi e costruire un nuovo percorso anche per quando si lascia il carcere.

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