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Carenza farmaci: mancano Brufen e Tachipirina, ma i generici non vengono prescritti

Gli equivalenti rappresentano ancora solo il 30% del mercato, una percentuale che nel caso degli antinfiammatori crolla al 12 per cento

di Marzio Bartoloni

Farmaci carenti, troppa dipendenza dall’Asia

4' di lettura

La corsa ai farmaci per Covid e influenza, ora che i due virus sono al loro picco stagionale, sta provocando difficoltà a reperire alcuni medicinali: tra questi il Brufen, l’antinfiammatorio e antidolorifico per eccellenza, ma anche a esempio la Tachiprina soprattutto nella formulazione a sciroppo così come alcuni antibiotici per le forme batteriche come l’Augmentin o lo Zitromax. Farmacisti e industrie però rassicurano: i farmaci ci sono e se ne manca qualcuno ci si può far prescrivere uno equivalente “non di marca” (il generico). Peccato che la loro prescrizione e vendita non decolla: rappresentano ancora solo il 30% del mercato, una percentuale che nel caso degli antinfiammatori crolla al 12 per cento.

Boom di vendite per analgesici e antinfiammatori

A certificare questa vera e propria corsa a questi medicinali sono i dati appena pubblicati da Iqvia, provider globale di dati e analisi in ambito sanitario e farmaceutico. Nel 2022 la vendita di analgesici e antinfiammatori in farmacia, come paracetamolo, l'aspirina e l'ibuprufene, è aumentata del 40% arrivando a 288 milioni di euro. Allo stesso modo anche i prodotti per la tosse, come gli sciroppi, nel 2022, hanno visto un aumento del 78%, toccando un valore di 388 milioni. Un aumento verificatosi soprattutto nelle ultime settimane dell’anno e «nonostante molti di questi farmaci, utili anche come antifebbrili, siano stati interessati da carenze», avverte Iqvia. Che sottolinea come il 2022 sia stato un anno di ripresa per la farmacia in Italia con un aumento a valori del 4,6%, rispetto al 2021, a 25,7 miliardi di euro (a volumi la crescita è stata del 4,4%). Vistoso invece il calo della vendita di mascherine rispetto al 2021 (-34%) e di igienizzanti per le mani (-44%), mentre la vendita di test rapidi per Covid nel 2022 è aumentata del 88%, con un picco a dicembre in coincidenza con la stagione influenzale.

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L’alternativa dei generici che però non decollano

In questi giorni in cui è partito l’allarme sia l’Agenzia del farmaco che i farmacisti ripetono in coro che per ogni farmaco di cui c’è carenza è possibile trovare un corrispondente generico. Il problema però è che in Italia si trascina da sempre una scarsa propensione dei medici a prescrivere il farmaco generico segnalando sulla ricetta il nome del principio attivo e non quello di marca (a esempio il paracetamolo invece che la tachiprina), ma anche degli stessi pazienti spesso affezionati al farmaco di marca nonostante il medicinale equivalente sia del tutto identico visto che ne è una “copia” di quello griffato a cui è scaduto il brevetto. Un corto circuito certificato dai numeri: secondo le elaborazioni di Egualia (che rappresenta i produttori di generici) su dati Iqvia i generici rappresentano solo il 30% del mercato (al Nord si sale al 38%) contro una media europea che supera il 50 per cento. Ancora più evidente il gap tra farmaci di marca e generici nel caso a esempio degli antinfiammtori: i generici sempre secondo le elaborazioni di Egualia su dati Iqvia rappresentano il 12,4% rispetto all’87,6% dei griffati. E così a esempio il Brufen rappresenta l’84,7% delle vendite contro il 15,3% del generico (Ibuprofene è il nome del principio attivo). Un po meglio va il Nimesulide dove il generico vale il 34,4 per cento.

Il nodo della ricetta e l’allarme sui costi della produzione

A pesare sul ricorso ai generici - più economici rispetto a quelli di marca - è innanzitutto il fatto che non sempre i medici indichino sulla ricetta il principio attivo della molecola al posto del nome commerciale. In realtà una legge del 2012 è abbastanza chiara sul punto perché obbliga il medico a indicare sulla prescrizione sempre il principio attivo, ma riconosce la facoltà sempre al medico di indicare nella stessa ricetta anche la denominazione (di marca o generica) del medicinale a base dello stesso principio attivo giudicandolo così insostituibile. Una scelta questa che andrebbe anche motivata dal medico. In questo modo tornano in pista i farmaci di marca nonostante ci sia l’alternativa del generico quasi sempre più economica. Tra l’altro la stessa legge scarica sui cittadini la differenza di prezzo tra il generico e quello di marca che viene pagata quindi di tasca propria dai pazienti.

No ad obbligo di solo generico, ma attuare le norme

Ma non si potrebbe ricorrere all’obbligo di prescrivere solo i generici come consiglia qualche esperto? Per Enrique Häusermann, presidente di Egualia, ipotizzare una nuova norma di legge che imponga l'obbligo di prescrivere solo il generico «è inutile e dannoso. Sarebbe lesiva della libertà prescrittiva del medico e contrario a qualsiasi criterio di mercato basato sulla libera concorrenza, dunque inaccettabile per qualsiasi impresa famaceutica». Piuttosto per i produttori di generici andrebbero applicate bene le norme che già ci sono e che non sempre vengono rispettate a esempio con l’indicazione del principio attivo nella ricetta del medico: «Le norme sono chiarissime. Forse – conclude Häusermann - ne andrebbe monitorata meglio l'attuazione da parte dei prescrittori. E andrebbe fatta una campagna di informazione e sensibilizzazione indirizzata anche ai medici oltre che ai pazienti. Perché il problema dello scarso utilizzo dei generici-equivalenti in Italia ha radici esclusivamente culturali».

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