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Ciclismo, Jonas Vingegaard vince il Tour dei colpi di scena

Con Vingegaard in giallo si conclude a Parigi il Tour. Ma Pogacar rilancia la sfida infinita: «Tornerò per vincere»

di Dario Ceccarelli

Tour de France, oggi passerella finale per Tadej Pogacar

5' di lettura

Si chiude in gloria, con un danese in giallo, il 109esimo Tour de France. Un Tour straordinario per emozioni e colpi di scena. Un Tour dal quale sarà difficile congedarsi. Come quei film che ci piacerebbe non finissero mai. Sappiamo che siamo all’epilogo, vediamo stagliarsi al tramonto l'Arco di Trionfo, la stordente giostra dei Campi Elisi (con la vittoria allo sprint del belga Jasper Philipsen, già primo a Carcassonne) ma non riusciamo a staccarci per la bellezza delle immagini e per quel senso pieno di sfida sportiva che, anche a Parigi, sembra non esaurirsi mai.

Non c'è retorica, non c'è trucco, non c'è inganno. Anche le lacrime e gli abbracci, a volte un po' scontati, questa volta sono autentici come autentica è stata la sfida tra il vincitore, il danese Jonas Vingegaard, 25 anni, e il secondo che avrebbe dovuto essere primo, lo sloveno Tadej Pogacar, 23 anni, il baby fenomeno che ha trovato il suo degno rivale, il Re Pescatore, che vince, stravince e convince.

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Due rivali fatti l’uno per l’altro

Due rivali, quasi nemici, e quasi amici, che sembrano inventati tavolino: troppi belli, troppo coraggiosi per essere veri. Come l'ultimo allungo di Pogacar a 6 km dalla fine del Tour. Giusto per stupirci, farci divertire fino alla fine. Sono fatti così: una generazione di fenomeni che corrono come surfisti sulle onde. Sempre all'attacco, sempre pronti a inventare qualcosa. Una mutazione genetica. Come se avessero abolito il vecchio ciclismo della fatica, con uno nuova disciplina che non ammette la noia o la prudenza dei vecchi saggi delle due ruote.

Diciamo la verità: tre settimane fa, quando è partito da Copenaghen, il Tour sembrava già scritto, cotto e bollito. Tadej Pogacar, già vincitore delle due precedenti edizioni, quasi metteva la firma anche sulla cronometro d'apertura. Un mostro insaziabile, con quel faccino da bravo ragazzo che nasconde la crudeltà di un serial killer.

Bravo, per carità, perfino troppo se non hai un avversario alla tua altezza. Anche un marziano alla lunga annoia. Ricordate Miguel Indurain? Formidabile, certo. Però che barba, sempre con la maglia gialla, anno dopo anno. E lasciamo perdere la dittatura di Lance Armstrong, fortunatamente finita nella polvere e cancellata per sempre dall'albo della Grande Boucle.

Un Tour inedito

Insomma, già dal prologo del giallo, si conosceva l'assassino. E invece, pagina dopo pagina, ci siamo accorti che questo Tour ci aveva preso in giro. Che stava inventando qualcosa di assolutamente inedito, senza avercelo anticipato prima. Vedevamo questo Tadej un po' troppo sbruffone. Quella sua aggressività fuori misura, quella sua voglia irrefrenabile di rispondere ad ogni scatto. Terzo nella crono inaugurale, all'attacco sul pavé, primo a Longwy, e alla Planche des Belle Filles, terzo a Losanna. Quante energie spese!

E senza neppure fare terra bruciata, visto che gli altri rivali erano ancora dietro a pochi secondi. Ma poi ci siam detti: sulle Alpi Tadej farà sfracelli. Le suonerà a tutti, senza pietà.

Sorpresa Vingegaard

E qui, passando dal leggendario Galibier, è arrivata il primo shock: attaccato dai luogotenenti di Vingegaard, Pogacar, dopo aver risposto colpo su colpo, a 5 km dal traguardo del Col du Granon va in crisi totale. Non respira, si apre il gubbino, guarda nel vuoto. E il nuovo marziano, il danese Jonas Vingegaard, leader della Jumbo-Visma, se ne va a velocità doppia rifilandogli tre minuti.

«È stata una sorpresa» racconta Pogacar. «Forse il caldo, forse la fame, abbiamo fatto degli errori che non faremo più ne futuro».

La caduta di Pogacar

La seconda mazzata, sui Pirenei ad Hautacam, è quella definitiva. Ma qui Pogacar non fa lo sbruffone. Qui la jella, che ci vede benissimo, lo fa cadere nella pazza discesa del Col d'Espandelles.

Ma Vingegaard, si ferma ad aspettarlo: e in quella stretta di mano che ha fatto il giro del mondo, si capisce un'altra cosa: che il danese è un campione di un’altra categoria, capace di tutto per conquistare il Tour, ma capace anche di uno straordinario gesto di sportività, un vincolo magico, che rimarrà per sempre nella storia dello sport.

Poco dopo Vingegard, trascinato da un irresistibile Wout Van Aert (il terzo uomo di questa corsa) esce dai panni del campione gentiluomo per ritornare ad essere semplicemente il padrone del Tour: e sulla salita di Hautacam, luogo mitico del ciclismo, affonda il colpo definitivo staccando lo sloveno di un altro minuto.

Per essere uno sconfitto, Pogacar può comunque vantare la maglia bianca del miglior giovane e la conquista di 3 tappe. Un secondo posto e tre terzi. «Alla fine ha vinto il migliore» ha detto lo sloveno. «E una sconfitta che mi dà più motivazioni per il futuro. Tornerò di nuovo per vincere» ha concluso per nulla demoralizzato Tadej.

Noia grande assente

Un Tour straordinario, dicevamo. All'ultimo respiro, con una media altissima (oltre 42 km/h, record assoluto) caratterizzato dall'assenza della noia. Mai una pausa, mai un momento di stanchezza, bandito il tatticismo.

Un Tour dominato da un nuovo astro del ciclismo, Vingegaard, e dalla la sua squadra: il Dream Team della Jumbo Visma, capace di aggiudicarsi tre maglie:gialla e a pois (con il danese) e quella verde della combattività con lo scatenato Wout Van Aert.

Possiamo fidarci? Non avete niente a che fare col doping? Alle domande dei giornalisti Vingegaard non si è sottratto: «No, siamo puliti, tutti. Siamo al top nella preparazione. Abbiamo migliorato i materiali, curiamo l'alimentazione e l'allenamento» ha concluso senza imbarazzi la maglia gialla.

Già rispondere, a queste domande, è un buon segno. Ma non sono domande illegittime. Soprattutto nel ciclismo dove, in un passato non troppo lontano, è successo di tutto. Ci sono tanti Tour in questo Tour. La bellissima storia del vincitore, un ragazzo che prima di diventare un campione ha lavorato duramente in una ditta di conservazione del pesce. Un ragazzo timido, innamoratissimo della moglie Trine, e della figlia Frida, ma con un carattere d'acciaio. «Non potevamo lasciare a casa - ha spiegato il suo direttore sportivo, l'olandese Plugge - uno che si alza all'alba per scongelare i merluzzi e va ad allenarsi dopo 6 ore di lavoro».

Bella e suggestiva questa rivalità tra Tadej e Jonas. Bella perchè è una rivalità sana, di due giovani campioni che si stimano e si rispettano. Suggestiva perchè è proiettata nel futuro. Spiega il danese: «Ci stimiamo, anche se non siamo amici. Tadej è come me: cerca sempre di migliorarsi. È un corridore leale, molto forte, che sicuramente vincerà tante altre corse. E io farò lo stesso».

Il futuro del Tour

Una rivalità che, si spera, non finirà con questo Tour. Entrambi sono corridori completi, non campioni part time che si vedono solo al Tour e poi spariscono per gli altri mesi dell'anno. Se Pogacar era definito «il nuovo Merckx», difficile adesso etichettare Vingegaard. Qualcuno ha detto che potrebbe essere il nuovo Gimondi. Ma è un paragone forzato in tutti i sensi. Felice, nonostante la sua fortissima determinazione, ha dovuto subìre il belga per quasi tutta la sua carriera.

In questo caso, soprattutto dopo questo sconquasso, è invece difficile capire quali saranno le gerarchie future. A proposito di Merckx, il belga non è stato generoso nei confronti di Pogacar: «Tadej è bravissimo, ma si è preparato male e ha commesso molti errori tattici che ha puntualmente pagato» ha spiegato il grande Eddy.

Che dire? Che in parte Merckx ha ragione, che forse Pogacar avrebbe potuto essere più prudente, più accorto, più furbo Ma questo è Pogacar, un campione straordinario che piace anche quando perde. Infine, ma questo è una nostra malignità, Il Grande Merckx rosica: lui il primo Tour l'ha vinto a 24 anni. Pogacar a 23 anni può già vantarne due, oltre un secondo posto. Insomma, anche tra giovani e vecchi «cannibali», le rivalità non finiscono mai.

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