Collettivi di artisti, sul mercato l’unione fa la forza
Gruppi di più professionisti che insieme lavorano con obiettivi comuni: la rinuncia all’autorialità a favore della sostenibilità. E c’è anche il mercato.....
di Silvia Anna Barrilà
4' di lettura
Condividono ideologie, hanno obiettivi comuni e una pratica artistica multidisciplinare. Sono i collettivi di artisti che rinunciano all'autorialità e alla fama del singolo per porre la propria creatività al servizio di un gruppo di due, tre, ma a volte anche più persone, come nel caso dei Ruangrupa , un collettivo di Jakarta (Indonesia) che curerà la prossima edizione di Documenta , una notizia che ha sorpreso e che rappresenta la prima volta nella storia della manifestazione tedesca (sebbene già la Biennale di Berlino del 2016 sia stata curata dal collettivo di New York Dis ). L'anonimato, assicurato da una sigla o da un nome di fantasia, contribuisce ad aumentare il livello di confronto e di sfida, mentre l'unione di talenti diversi permette di realizzare progetti ambiziosi che superano le capacità del singolo. “Il collettivo per noi è sinonimo di maggiore intensità, gioia, di problemi più interessati (in opposizione alla depressione di quelli individuali) e di chiarezza” spiega ad Arteconomy24 Claire Fontaine , collettivo nato in Francia nel 2004 e formato da Fulvia Carnevale e James Thornhill, che si interroga sull'impotenza politica e sulla crisi dell’individualità̀ della società̀ attuale (10-60.000 euro da T293 di Roma). Per Gelitin , quattro artisti austriaci (Wolfgang Gantner, Ali Janka, Florian Reither, Tobias Urban) che si sono conosciuti da bambini nel 1978 in un campo estivo e hanno iniziato a lavorare insieme dal 1993 distinguendosi per il loro humor (famoso è il loro gigantesco coniglio rosa sulle Alpi piemontesi), il collettivo è “amore, inferno, gioia, routine quotidiana, psicodramma, relazione, compagnia, studio, fiducia, rispetto, competizione, zebra, finestra. Gelitin è un pacco con tutte le qualità del pacco” (10-30.000 euro da Massimo De Carlo ).
Il mercato. Diversamente da quanto si possa pensare, l'abnegazione dell'artista come eroe solitario non compromette il successo sul mercato. Anzi. “Tra le motivazioni centrali che spingono gli artisti a legarsi in un collettivo ci sono la volontà di fare rete, di condividere interessi, di sostenersi nel dibattito, nella ricerca” spiega Cecilia Guida, docente all' Accademia di Brera e curatrice. “Gioca un ruolo anche la famigerata questione economica: l'unione fa la forza, perciò far parte di un collettivo aiuta nella ricerca della sostenibilità, per esempio attraverso la partecipazione a bandi, soprattutto per i collettivi che operano nella sfera pubblica, la cui attività non è finalizzata alla produzione di un oggetto artistico. Ma anche in questi casi il collettivo può contribuire a dare visibilità alla pratica del singolo, come una sorta di effetto collaterale positivo”. In Italia, la “madre” di tutti i collettivi è Oreste, un gruppo indefinito di artisti che alla fine degli anni ’90 si è incontrato per riflettere sul modo di fare arte in Italia influenzando le pratiche attuali (il MAMbo gli ha dedicato di recente una mostra nella sua project room). A Torino ha fatto scuola Diogene , che ha sede in un tram ad un incrocio in periferia.
Gli esempi internazionali. Ma il collettivo non conosce confini: GCC , per esempio, è un gruppo di otto artisti (nove all'inizio) provenienti dai paesi del Golfo che riflette sulla costruzione della nazionalità come se fosse un brand, tipico della loro regione. I rumeni Apparatus22 dal 2011 esplorano la realtà che si mescola alla finzione con un approccio critico, attingendo a conoscenze dal design, dalla sociologia, dalla letteratura e dall'economia (4-8.200 euro da Gallleriapiù di Bologna). Alla Biennale di Venezia è ora in mostra un altro collettivo, Slavs & Tatars , nato nel 2006 come gruppo di lettura, che si pone di esaminare le complessità culturali tra due barriere fisiche e simboliche: il vecchio Muro di Berlino e la Muraglia Cinese. Guardando al passato, Gorgona, nella Zagabria della fine degli anni 50, organizzava azioni collettive che andavano dalla partita di calcetto a guardare insieme il tramonto alla ricerca della smaterializzazione dell'opera d'arte. Il gruppo, in contatto con l'avanguardia occidentale, ha pubblicato una rivista a cui hanno collaborato Dieter Roth, Vasarely e anche Piero Manzoni (la galleria P420 di Bologna gli ha dedicato una mostra nel 2017).
Le criticità. Certo gli imprevisti non mancano e, come spiega Guida: “Il tasso di mortalità del collettivo è alto, per cui spesso si sciolgono, oppure cambiano i membri”. È il caso del duo cubano Los Carpinteros (15-200.000 dollari da Peter Kilchmann di Zurigo), composto da Marco Antonio Castillo e Dagoberto Rodríguez, che nel 2018 hanno annunciato la fine della loro unione dopo 26 anni (Rodríguez continuerà ad essere rappresentato dalla galleria svizzera). In origine faceva parte del gruppo anche Alexandre Arrechea, il primo a separarsi nel 2003. Sul mercato scatta l'effetto rarità, tanto che nel maggio 2018 l'opera “Catedral” del 1995, firmata da tutti e tre i membri, ha più che raddoppiato la stima all'asta da Christie's arrivando a 456.500 dollari (diritti inclusi).
È anche vero che la gestione di un duo o collettivo è economicamente più complessa, come notano Invernomuto (Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi), che lavorano insieme da quando si sono conosciuti all'Accademia di Brera, pur proseguendo ognuno la sua ricerca in ambito musicale (1.500-30.000 euro da Pinksummer di Genova). Per Alterazioni Video (circa 10-50.000 euro il price range), collettivo nato a Milano nel 2004 da cinque persone (Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu e Giacomo Porfiri), il desiderio di libertà intellettuale e di non diventare vittime delle logiche di mercato ha portato per anni ad affidarsi al mecenatismo, ma ora c'è Campoli Presti “a vegliare su di loro”. Infine i Masbedo, duo composto da Nicolò Massazza (1973) e Iacopo Bedogni (1970), che vivono e lavorano a Milano insieme dal 1999, si esprimono attraverso la videoarte e diverse altre forme artistiche come performance, teatro, installazione, fotografia e recentemente cinema. Non hanno galleria e i loro video vanno da 20.000 euro per video mono canale ai 50.000 per le video installazioni a più canali, metre le foto dai 15 ai 25.000 euro. Il 29 agosto saranno con “A trigger off a reaction”, video audio performance al Contemporary Copenaghen nella capitale danese , in collaborazione con Davide Tomat e il28 settembre con “Exercises of violence” alle OGR - Officine Grandi Riparazioni , di Torino e dal10 ottobre al 17 novembre all’ Ica di Milano con “Why frontiers change” curata da Alberto Salvadori.
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