Verso gli Oscar

Con «Belfast» anche la Festa di Roma trova il suo piccolo gioiello

Presentato in collaborazione con Alice nella città l’ultimo film di Kenneth Branagh: un affresco personale (di un bambino di 9 anni) del conflitto nordirlandese

di Eugenio Bruno

Kenneth Branagh alla festa di Roma: vi presento "Belfast"

3' di lettura

Ogni Festival o Festa che si rispetti nasconde un piccolo gioiello. Vale anche per Roma e per Belfast di Kenneth Branagh che è stato presentato alla kermesse capitolina in collaborazione con Alice nella città. Un viaggio nella capitale nordirlandese sconvolta, alla fine degli anni ’60, dai Troubles tra protestanti e cattolici, che vediamo filtrati dal suo piccolo protagonista, Buddy. Una vicenda fortemente autobiografica che lo stesso Branagh ci ha messo 50 anni a elaborare e portare sullo schermo. Il risultato è sicuramente di alto livello, per un’opera che ha già vinto il Premio del pubblico a Toronto e si candida a un ruolo di primo piano alla prossima Notte degli Oscar.

C’è un prima e un dopo anche nel conflitto nordirlandese

La vicenda nordirlandese appassiona da sempre il cinema europeo. Basti citare Nel nome del padre di Jim Sheridan, La moglie del soldato di Neil Jordan, Hunger di Steve McQueen o Bloody sunday di Paul Greengrass, tutti film che per un motivo o per l’altro ci hanno portato dentro una guerra civile che ha insaguinato l’Isola per quasi 30 anni e che è costata 3.500 morti. Branagh sceglie invece di soffermarsi sull’inizio dei disordini (i Troubles appunto) tra la comunità cattolica e quella protestante. Perché anche in quel conflitto, come in ogni conflitto, c’è stato un prima e un dopo.
L’autore ne fa anche una scelta stilistica. E, infatti, parte (a colori) dall’oggi e, con un paio di lunghi piano sequenza, ci riporta (in bianco e nero) al passato. Al 1969 quando le strade di Falls Road diventano terreno di scontri, di dissidi, di sangue tra due fazioni che fino al giorno sembravano convivere tranquillamente. Avendo gli stessi usi, gli stessi costumi e spesso anche gli stessi nomi, come scopriamo in uno dei passaggi più leggeri del film.

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Una vicenda fortemente personale

Con lo scoppio dei disordini cambia anche lo stile di regia, la macchina da presa si ferma e, posizionandosi spesso ad altezza bambino, ci porta dentro le case dei protagonisti. Dentro le famiglie. Dentro le scelte di vita, volute o forzate che siano. Con una sincerità e una leggerezza che - insieme a un cast affiatato e azzeccato e a una colonna sonora ricca e incalzante - sono il vero valore aggiunto del film.
Si vede che per trasmetterle Branagh ha attinto alla sua esperienza personale. Come confessa nel videomessaggio che ha preceduto la proiezione: «È la storia di qualcosa che mi è capitato quando avevo nove anni e che ha cambiato la mia vita per sempre - dice -. Ha anche cambiato quella di molti in modo talmente profondo che riecheggia ancora oggi. Una storia che volevo raccontare da cinquant'anni». Non è un caso che il piccolo Buddy sullo schermo abbia proprio 9 anni, come li aveva lo stesso regista nel 1969.
Come fosse un racconto di Dickens della sua gioiosa famiglia vediamo le luci e le ombre. Ma anche i detti e i non detti. I sogni e le disillusioni che accompagnano il perenne dilemma tra attendere che gli scontri finiscano oppure iniziare una nuova vita da un’altra parte. Fino all’epilogo che come spesso accade spariglia le carte e interrompe gli indugi.Riportandoci al silenzio (e ai colori) dell’oggi e completando il senso dell’opera con un sincero ringraziamento a chi è partito, a chi è rimasto e a chi purtroppo si è perso lungo la strada.

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