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Così la Fed ha spiazzato i mercati globali: ecco come cambiano le attese

a riunione della Fed di giovedì delude gli investitori: rendimenti dei titoli di Stato sui massimi, dollaro in rialzo, Borse in caduta. Ecco i motivi

di Morya Longo

(Reuters)

3' di lettura

Tassi d’interesse statunitensi più alti. Per più tempo. La Federal Reserve giovedì sera non poteva lanciare un messaggio più deludente di questo ai mercati finanziari. Non poteva spiazzarli di più. Pur non alzando il costo del denaro, i membri del consiglio della Fed hanno infatti indicato che un’altra stretta monetaria è possibile quest’anno e che nel 2024 e nel 2025 i tassi scenderanno meno di quanto previsto in precedenza. La doccia è stata così fredda per i mercati, che si è riverberata in tutto il mondo.

I rendimenti dei titoli di Stato sono saliti ovunque, arrivando su massimi che non si vedevano dal 2007 negli Stati Uniti (Treasury decennali al 4,48% dal 4,35% di mercoledì) e da 12 anni in Europa (Bund tedeschi al 2,74%). Le Borse sono invece cadute, con Milano che ha perso l’1,78%, Parigi l’1,63% e Francoforte l’1,31%. Tutto questo ha spinto il dollaro al massimo da 6 mesi sulle principali valute mondiali, schiacciando l’euro a quasi 1,06, prima di ripiegare in serata.

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La doccia fredda

Per capire la reazione dei mercati bisogna partire dalle aspettative. È da mesi che gli investitori prevedono la fine della stretta monetaria della Federal Reserve e abbondanti tagli dei tassi (causati dalla tanto attesa recessione) già nel 2024. Qualche mese fa erano attesi tagli addirittura anche verso la fine del 2023. Ma i dati economici sono sempre meno coerenti con uno scenario di recessione o di forte rallentamento economico negli Stati Uniti: l’economia Usa resta tonica contro tutte le Cassandre, nonostante la sfilza di rialzi dei tassi varata dalla Fed. E il mercato del lavoro resta robusto. Questo significa che l’inflazione faticherà a calare ulteriormente (a maggior ragione ora che il prezzo del petrolio è alto) e dunque che la Fed dovrà mantenere la politica monetaria restrittiva. Cioè: tassi elevati più a lungo.

Mercoledì il consiglio della Banca centrale americana l’ha confermato. Ma ha sorpreso tutti nel tono e nelle stime sul futuro: i membri del consiglio Fed prevedono attualmente un nuovo rialzo dei tassi nel 2023 (anche se si è ridotto il numero di chi lo pensa) e solo due tagli (per 50 punti base complessivi) nel 2024, mentre solo tre mesi fa prevedevano 4 tagli per 100 punti base. Una svolta così radicale il mercato non se l’aspettava.

Giovedì poi è arrivata la “ciliegina”, quando sono stati pubblicati i dati sui sussidi alla disoccupazione statunitense: calando di 20mila unità (ben più delle attese) e arrivando al minimo da gennaio, questi dati hanno confermato che il mercato del lavoro negli Stati Uniti resta tonico. Notizia ottima per gli americani, certo. Ma non per i mercati, che vedono nella tonicità del mercato del lavoro l’indizio di una Fed costretta a tenere i tassi alti più a lungo per combattere un’inflazione che non vuole andarsene via.

La reazione dei mercati

A consolare gli investitori non è bastata la Bank of England, che ieri ha tenuto i tassi invariati dopo 14 rialzi consecutivi. Neppure il ricordo della Bce di settimana scorsa, quando aveva alzato i tassi annunciando - pur con tutte le cautele del caso - che sarebbe stata l’ultima mossa restrittiva. Non ha cambiato gli equilibri neppure la dichiarazione della presidentessa Bce Christine Lagarde: «L’alta inflazione rappresenta oggi una sfida per l’intera regione». Non c’è stato nulla da fare: l’effetto Fed è stato dirompente ieri.

E i mercati hanno reagito da manuale. Sono innanzitutto saliti i rendimenti dei titoli di Stato a lunga scadenza: quelli più influenzati dalle prospettive future, quella da cui è arrivata la maggiore sorpresa. Il balzo dei tassi dei Treasury decennali è stato infatti forte: passando dal 4,35% al 4,48% i titoli Usa hanno fatto un salto enorme per un mercato abituato a muoversi a piccoli passi. Molto meno mossi, invece, i rendimenti sulle scadenze più brevi negli Stati Uniti. Come detto, lo shock è stato globale. In Europa sono balzati verso l’alto i tassi dei Bund tedeschi, ma anche quelli dei BTp decennali (da 4,45% a 4,55%), spedendo lo spread Italia-Germania nuovamente sulla soglia di 180 punti base.

Le prospettive di una Fed ancora restrittiva e di una Bce invece al capolinea ha poi avuto un ovvio effetto sul cambio euro-dollaro: il biglietto verde è salito, attirando capitali di chi vuole sfruttare i tassi Usa più elevati. Insomma: reazione da manuale. Effetto spiazzamento.

Riproduzione riservata ©
  • Morya LongoVicecaposervizio

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: Italiano, inglese

    Argomenti: Finanza, mercati azionari e obbligazionari

    Premi: Vincitore del premio State Street 2018 – Giornalista dell’anno, autore del miglior scoop

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