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Criptovalute, così diminuisce l’appeal tra gli investitori

La Consob rimarca come le dimensioni dei cripto mercati restano contenute, se confrontate con quelle dei listini globali. E la diffusione dei token in Europa resta limitata

di Vittorio Carlini

Focus criptovalute.

3' di lettura

Da una parte l’interesse che cala. Dall’altra una diffusione in Europa che resta limitata. Il tutto con l’Unione europea che si è mossa non poco sul fronte legislativo.

Così, in linea di massima, può riassumersi, unitamente al sostegno dato dal presidente Paolo Savona alle valute digitali di banca centrale (Cbdc), il quadro delineato ieri dalla Consob sul fronte delle cryptocurrency. Un cripto mondo che, per l’appunto, ha visto diminuire, dalla seconda metà del 2022, l’appeal di bitcoin & co. Lo dimostra tra le altre cose, a detta dell’Authority, la riduzione del numero di ricerche in rete dei vocaboli associati ai cripto asset (sia in Italia che a livello globale). Un trend confermato dalla stessa discesa del numero di download (scaricamento) delle maggiori App per la conservazione dei token.

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Investitori asiatici davanti a tutti

La dinamica, a ben vedere, è inserita in un contesto europeo in cui la diffusione delle cripto attività è comunque circoscritta. Secondo la relazione della Consob, alla fine del 2022 e a livello globale, le stime indicano che il maggiore numero di detentori di titoli digitali è in Asia (59%). Al secondo posto si trova il Nord America (13%) con l’Africa -terzo gradino del podio - che ha un incidenza sul totale del 10%. L’Europa occidentale e dell’Est, invece, vantano rispettivamente un peso del 3 e 4%. Vale a dire: percentuali inferiori sia al Sud America (6%) che al Medio Oriente (5%). In particolare, nel Vecchio continente, è la Francia ad apparire più crypto friendly (i possessori di token sono il 5,9% dell’intera popolazione). A seguire si trovano: la Gran Bretagna (5,5%) e la Germania (4,2%). L’Italia? Il Bel Paese occupa l’ottava pozione, con una stima che si assesta al 2,4%.

La fotografia, peraltro, è replicata a livello di capitalizzazione delle cryptocurrency. La Consob rimarca come le dimensioni dei cripto mercati restano contenute, se confrontate con quelle dei listini globali. Così valgono il 3,6% delle Borse azionarie di Europa, Medio Oriente e Africa. Il valore, poi, diventa ancora più piccolo nel momento in cui si tira in ballo l’Asia (2,6%) o i listini aggregati americani. In quest’ultimo caso le dimensioni del cripto mercato è pari all’1,9% di quelli azionari tradizionali. A fronte di simili numeri, quali allora le cause del trend in oggetto?

Le molte crisi che hanno portato al crollo

La Consob richiama, tra le altre motivazioni, le diverse crisi che hanno contribuito a fare crollare nel 2022 i titoli digitali: dal collasso della stablecoin algoritmica Terra-Luna al crack del big dei cripto prestiti Celsius fino alla scandalo di Ftx. Ciò detto a ben vedere, sempre tra le cause, devono anche ricordarsi le strette di politica monetaria. Soprattutto ad opera della Fed. Bitcoin & co, acquisiti da investitori tradizionali -sia istituzionali che retail - digiuni delle pecularità della criptoeconomy, sono stati in larga parte trattati alla stregua di titoli tecnologici speculativi. Un approccio il quale, a fronte dell’inflazione che avanza e dei conseguenti rialzi dei tassi, ha indotto tanti operatori, applicando le tradizionali strategie di portafoglio, ad avviare le vendite degli asset digitali come fossero (per l’appunto) azioni del Nasdaq. Ma non è solo questione di operatività.

La produzione legislativa europea

Altro tema sul tavolo è quello della produzione legislativa a livello europeo. Su tutti, ovviamente, va ricordato il regolamento MiCa. La norma, pubblicata ieri nella Gazzetta ufficiale europea ma che verrà applicata nel 2024 (per molti troppo in là nel tempo), fornisce una quadro giuridico a livello dell’Ue sulle cripto-attività, gli emittenti dei medesimi e i fornitori di servizi. Il passaggio, a detta di vari esperti, è rilevante in quanto elimina, ad esempio, l’arbitraggio normativo. Non solo.

Gli stessi fornitori di servizi (Casp) dovranno essere stabiliti nel territorio dell’Unione e saranno soggetti ad autorizzazione e supervisione da parte delle autorità di vigilanza nazionali. Di più: i Casp verranno registrati a livello di Esma e, una volta autorizzati, potranno fornire le loro attività negli Stati membri dell’Eu (portabilità). Ancora: è prevista, oltre a severe norme di prudenza e condotta, la separazione tra il patrimonio dei fornitori di servizi e gli asset dei clienti. Un obbligo che (finalmente!) interviene su uno dei temi (la confusione tra asset degli utenti e quelli, ad esempio, degli exchange) alla base di molti degli cripto scandali.

Sennonché, va sottolineato, il regolamento non considera importanti aspetti. Uno tra tutti: la finanza decentralizzata (DeFi). Vero! La stessa Consob - che ha competenza sulle cripto attività quando sono assimilabili a strumenti finanziari o sono correlate a questi o contengono la promessa di un rendimento finanziario- ieri ha sottolineato come la ricchezza allocata nella DeFi sia fortemente calata. Ciò detto, tuttavia, resta il fatto che spesso i protocolli di questo settore non siano in realtà così distribuiti. Quindi, lo suggerisce un paper del Think Tank dello stesso Parlamento Europeo, il regolamento dovrebbe prendere in considerazione anche la DeFi. Come dire: appena pubblicata la legge già va cambiata.

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