Da «agile» a «ibrido»: così sarà il lavoro post-Covid
L’86% delle aziende ha confermato la modalità a distanza nel 2021 e due terzi lo farà in futuro con un mix tra presenza e remoto
di Francesca Barbieri
3' di lettura
Da Fedrigoni lo smart working era un perfetto sconosciuto: da marzo 2020, con l’esplosione dell’emergenza Covid in Italia, il gruppo - che è uno dei maggiori attori globali nella produzione e vendita di carte speciali per packaging, stampa e grafica - ha introdotto il lavoro agile per i suoi 1.400 impiegati e da allora sono partiti diversi programmi dedicato ai manager per supportare lo sviluppo di competenze di leadership e avviate iniziative di e-learning. «L’esperienza dello smart working ha fornito al nostro gruppo una forte spinta digitale e di innovazione nel nostro modo di lavorare, da cui non intendiamo tornare indietro: da settembre sono stati istituzionalizzati due giorni a settimana di lavoro da remoto - spiega l’a.d. Marco Nespolo -. Abbiamo constatato come la combinazione di presenza fisica e modalità di lavoro agile abbia aumentato la soddisfazione generale dei dipendenti, garantendo al contempo produttività, flessibilità e senso di appartenenza».
Modelli aziendali ibridi
Anche per la casa vinicola Ruffino Srl, come spiega l’hr director Emanuele Rossini «lo smart working resterà in una formula ibrida: ci stiamo orientando su massimo due giorni di lavoro da remoto a settimana, con la possibilità di prevedere anche mix diversi».
Stessa linea da Trenord. «La pandemia ha accelerato processi aziendali che oggi sono diventati estremamente utili per le aziende - dice Andrea Del Chicca, direttore corporate e risorse umane -, come la rivalutazione dello smart working, un modo di lavorare che nella nostra azienda interessa oltre 700 lavoratori (circa il 16% della forza lavoro). Dopo l’estate, è stata varata una policy aziendale dedicata al lavoro agile, che prevederà accordi individuali di un anno per i lavoratori di staff».
Tre casi aziendali che testimoniano come il Covid abbia portato alla ribalta il lavoro agile, assegnandogli un ruolo destinato a restare anche nel futuro, anche se con modalità e formule diverse da quelle sperimentate in emergenza. I dati dell’Hr trends & salary survey di Randstad mostrano che nel 2020 in Italia tre organizzazioni su quattro hanno introdotto o potenziato il lavoro a distanza per far fronte al Covid, l’86% di queste ha continuato l’esperienza nel 2021 e due terzi proseguiranno anche in futuro.
Mediamente, oggi lavora in modalità agile il 54% della forza lavoro per 2,5 giorni a settimana.
«Ma in futuro - spiega Marco Ceresa, ceo di Randstad Italia - lo smart working non sarà semplicemente “lavoro da remoto”, perché il modello sarà necessariamente ibrido: si tornerà a vivere gli uffici e i luoghi di lavoro, recuperando la socialità e il patrimonio di relazioni perso durante la pandemia, senza rinunciare ai benefici di flessibilità e efficienza sperimentati in questi mesi».
Sviluppo digitale
Le ricette sono diverse a seconda delle specifiche esigenze aziendali: chi ripenserà spazi, tempi e organizzazione sulla base di modelli più agili, chi svilupperà innovazioni digitali avviate durante la pandemia. Inoltre - sulla base delle rilevazioni condotte dal centro di ricerche Eumetra - se per due aziende su tre il lavoro a distanza migliora la produttività, circa la metà è intenzionata ad accelerare sull’adozione del cloud.
«Lo smart working - aggiunge Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano - è un trend ormai inarrestabile. Nei prossimi mesi, tuttavia, assisteremo a dinamiche differenziate tra grandi imprese, Pmi e Pa. Nelle grandi imprese si andrà verso un consolidamento e un’estensione del lavoro agile, con modelli che prevedranno un equilibrio tra lavoro in presenza e in ufficio che lascerà un forte livello di flessibilità ai lavoratori».
Nella Pa il decreto legge 121 del 21 settembre 2021 ha previsto un rientro in presenza a partire dal 15 ottobre per gran parte del personale e anche nelle Pmi molte organizzazioni tenteranno inizialmente di tornare a un lavoro totalmente o in larga prevalenza in presenza, «per paura di non riuscire a mantenere il controllo dei lavoratori - dice Corso - e per la sostanziale assenza di cultura basata sul raggiungimento dei risultati».
Il tentativo sarà quello di ridurre lo smart working a uno strumento di emergenza o di conciliazione per categorie deboli. «Una strategia - conclude Corso - destinata a scontrarsi con una forte pressione da parte dei lavoratori e con una difficoltà delle aziende ad attrarre e trattenere talenti in assenza di modelli organizzativi flessibili. Nel medio periodo la differenza la faranno le prestazioni di efficienza, competitività e sostenibilità, che porteranno all’affermarsi dello smart working come modello di lavoro prevalente».
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