Da Musk a Branson ai privati giapponesi: anche nello spazio si può sbagliare
Nelle ultime settimane si sono succeduti tre fallimenti spettacolari, diversi per natura e motivi: anche nello spazio bisogna sperimentare e riprovare
di Leopoldo Benacchio
I punti chiave
5' di lettura
Sbagliando si impara è un proverbio antico come il mondo, ma in campo spaziale negli ultimi tempi è un po' abusato per nascondere insuccessi più o meno clamorosi e business model non sostenibili. Space X, iSpace e Virgin Orbit sono tre casi paradigmatici.
Il caso più positivo è quello di SpaceX che, come filosofia, ha introdotto un metodo di lavoro sull base di trials and errors, tentativi ed errori, tipico di molte scienze sperimentali, come la fisica, ma non certo delle grandi agenzie spaziali, come Nasa, che pure di errori ne hanno fatti parecchi, inevitabilmente. Si pensi solo al disastro dello Shuttle Challenger nel febbraio 1986 che costò la vita a sette persone di equipaggio.
Elon Musk, il fondatore e patron di SpaceX lo ha affermato più volte: sperimentare, acquisire i dati dell'esperienza fatta, ragionarci e passare oltre nella realizzazione del prodotto finale. Finora gli è andata bene, molto bene: il suo razzo vettore Falcon 9 domina ormai il mercato dei lanci, soprattutto dopo che la Russia è praticamente uscita di scena e l'Europa è sostanzialmente appiedata, mentre aspetta che i suoi due lanciatori, Ariane 6 e Vega C , inizino a funzionare. Solo la CIna, con i suoi vettori Lunga Marcia, riesce a star al passo di Musk.
Il (parziale) fallimento di Musk
Nei giorni scorsi, con il tentativo di lancio del grande razzo vettore Starship, il più grande e potente mai costruito, indispensabile per realizzare il progetto Artemis per portare l'umanità stabilmente sulla Luna, il metodo elaborato da Musk è arrivato forse ai suoi limiti.
Bisogna dire che le parti principali del potente razzo, motori e serbatoi, e navetta erano state provate separatamente, e un paio di volte l'esperimento era finito in un'esplosione. Il razzo completo invece è sì decollato e arrivato a qualche chilometro di altezza, ma vari malfunzionamenti hanno impedito il normale distacco del secondo stadio e il tutto è stato fatto esplodere per prudenza. Il giorno dopo si è visto anche che il vettore era talmente potente, con i suoi 33 motori, che aveva in pratica messo completamente fuori uso la rampa di lancio.
Nessun problema per Musk, che pure ci ha perso un bel po' di dollari: abbiamo imparato moltissimo da questa esperienza e ora riflettiamo sui dati che abbiamo registrato, ha dichiarato nella sostanza. Di fatto quello era un test, nessuno si aspettava niente di più che un giro, scarso, della Terra a 200 chilometri di altezza e già il fatto che si sia alzato è considerato positivo.
Se questo può essere chiaro, o almeno accettabile, per gli addetti ai lavori questa volta, a causa anche della grande enfasi data all'avvenimento dai media di tutto il mondo, il tutto è sembrato a tantissimi spettatori, sul web specialmente, un bel fallimento e non un esperimento. Si vedrà nei prossimi mesi, al prossimo tentativo, a fine anno, se la lezione è veramente servita.
I privati non sbarcano sulla Luna
Di tutt'altro genere invece l'avventura del lander lunare giapponese Hakuto-R dell'impresa privata iSpace . Doveva arrivare sul suolo lunare il 25 aprile, verso le 18.45 ora italiana, ma proprio all'ultimo le comunicazioni si sono perse. Cosa sia successo al momento non si sa, forse non è riuscito a frenare a sufficienza la sua discesa e si è schiantato, anche se a velocità non elevata, forse ha semplicemente perso la comunicazione.
Fino ad allora tutto era andato al meglio: lancio, con un Falcon 9 di SpaceX, avvicinamento, entrata in orbita lunare e poi discesa fino a 80 metri dal suolo, poi qualcosa è successo, proprio negli ultimi secondi.
Era una missione lunare importante anche perché l'impresa è tutta privata e gode della collaborazione di scienziati e tecnici di tante nazionalità, doveva portare un piccolo rover degli Emirati arabi uniti sulla Luna e un microrobot di una impresa di giochi, che voleva testare a sua volta una tecnologia per muoversi sul polveroso suolo del nostro satellite. Impresa quindi commerciale privata, giapponese, ma ampiamente internazionale.
Con uno stile tipico del Sol Levante il Ceo e fondatore di iSpace, Takeshi Hakamada, ha con molta umiltà ammesso che la missione non si è conclusa come sperava, anche se, pure lui, dichiara di aver raggiunto otto obiettivi sui dieci che si erano proposti e sono stati accumulati molti dati per le prossime due missioni lunari già programmate. Titolo crollato in Borsa, anche gli investitori imparano dagli insuccessi.
Al Giappone peraltro il 2023 non giova, pare, dato che nel marzo scorso il tentativo di lanciare il razzo H3, di altra compagnia, era finito in un fallimento completo. Ma non è finita, ci si è messo anche il fallimento di una delle tante imprese di Sir RIchard Branson, miliardario di successo anche lui innamorato delle imprese spaziali.
Il colpo di freno per Branson
Virgin Orbit pensava di lanciare piccoli satelliti da razzi che non decollavano non dal suolo ma venivano rilasciati in quota da un grande Boeing 747, idea con cui una quantità di esperti nutriva forti perplessità, rivelatesi corrette visto che la cosa proprio non ha funzionato e la società ha fallito dopo solo un paio di insuccessi.
Qui non c'è nulla da imparare, c'era solo da fare i conti meglio, dicono molti esperti. Il Giappone aveva un accordo con Branson per fondare uno spazioporto nella Prefettura di Oita, nell'estremo sud del Paese, regione famosa per le acque termali rosse. Ora non si farà più e il progetto giapponese va cancellato.
Svanite nel nulla anche le ricadute previste per il territorio nei primi cinque anni, neanche poi una cifra enorme. Spazioporti simili a quello chiuso in Giappone, ancora prima di aprirlo, erano partiti in Cornovaglia e altri siti europei e, soprattutto, anche in Italia, a Grottaglie.
Nel luglio 2018, l'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), con Industrie locali, firmavano con la Virgin Galactic, l' azienda di Branson per i voli turistici suborbitali, due accordi e una dichiarazione di intenti per trasferire i voli suborbitali allo spazioporto di Grottaglie. Ora Grottaglie probabilmente, come la Cornovaglia e altri spazioporti previsti in Europa, dovrà allungare i tempi e rivedere i propri business plan, attualmente fatti a pezzi dalle difficoltà e dal fallimento di Virgin Orbit, Branson, che per tante imprese a marchio Virgin ha avuto grande successo, non è nuovo a promesse da marinaio in questo campo.
Con l'altra sua compagnia, Virgin Galactic, vende da anni in prenotazione, ad aspiranti turisti spazial e a migliaia di dollari l'uno, biglietti per un volo fino a 80 chilometri di altezza, quindi non proprio “nello spazio”, con il suo aereo razzo Spaceshiptwo. Il mezzo, un aereo razzo si è rivelato pericolosissimo ed è fermo dal 2021, dopo un primo volo che non è finito in tragedia solo per la bravura dell'esperta pilota. Inutile dire che la valutazione della compagnia è precipitata in Borsa, anche se l'altra impresa, Virgin Galactic, promette la ripresa dei voli con l'aereo razzo, entro il 2023. Ai primi posti della lista di attesa c'è una missione prenotata dall’Aeronautica Italiana assieme al CNR, vedremo nei prossimi mesi se la promessa del Ceo Michael Colglazier di riprendere entro luglio i voli sarà soddisfatta.
La Space Economy, sugli scudi oramai da un paio di anni, è certo un campo estremamente innovativo, in piena espansione e carico di promesse, ma inizia a farsi capire in modo severo: le regole dell'economia vanno rispettate anche nello spazio.
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