Dal fois gras alle pinne di squalo, anche il cibo gourmet vira sui sostituti vegani
Anche gli chef stellati puntano sulla alternative a base vegetale al posto delle prelibatezza poco sostenibili. Ma anche sui prodotti di laboratorio
di Elena Comelli
3' di lettura
Alexis Gauthier serviva 20 chili di foie gras a settimana. Ora lo chef, il cui ristorante londinese Gauthier Soho è diventato completamente vegano nel 2021, ne offre solo una versione a base vegetale.
Ma Gauthier non è l’unico chef stellato ad aver abbandonato i prodotti animali, tradizionalmente associati all’alta cucina. Daniel Humm ha fatto scalpore due volte negli ultimi mesi. A giugno ha annunciato che il suo ristorante tristellato di New York, Eleven Madison Park, avrebbe riaperto dopo una pausa pandemica senza carne o pesce nel suo menu da 335 dollari. Poi, a novembre, è stato annunciato il suo divorzio dal mitico albergo londinese Claridge’s, che ha rifiutato di servire un menu completamente vegetale nel suo ristorante.
Rasmus Kofoed del Geranium di Copenaghen, al secondo posto nella classifica dei 50 migliori ristoranti del mondo, ha annunciato in gennaio un nuovo menu senza carne e perfino la Guida Michelin, che raramente assegnava stelle ai ristoranti senza carne, si sta muovendo in questa direzione: Ona (che sta per “origine non animale”) di Claire Vallée ad Arès, vicino a Bordeaux, è diventato il primo ristorante vegano di Francia a ricevere una stella.
Gauthier, in particolare, sostiene che molti chef restano legati alla «tirannia della classica gastronomia francese» proprio perché temono di perdere le stelle Michelin. Lui, al contrario, vede i piatti a base vegetale come un’opportunità per essere veramente creativi: «Possiamo scrivere ricette fuori dall’ordinario e nessuno può venirti a dire ’beh in realtà non dovrebbe essere fatto così’, perché è tutto nuovo. Questo è il bello».
Gauthier ama sperimentare anche con i classici, tanto che ha deciso di inserire di nuovo nel suo menu il foie gras - il “fegato grasso” di oche e anatre sottoposte ad alimentazione forzata - nella versione coltivata in laboratorio dalla startup parigina Gourmey.
Gourmey non è l’unica azienda che lavora su cibi gourmet in versione cellulare. Le fauci di pesce e la pinna di squalo, considerate due prelibatezze nella cucina cinese, hanno attirato l’attenzione di altre start-up biotecnologiche.
Le fauci di pesce sono in realtà la vescica natatoria di una specie in via di estinzione, il totoaba, pescato di frodo lungo la costa pacifica del Messico, e possono essere vendute per decine di migliaia di dollari al chilo. La domanda di pinne di squalo ha portato a conseguenze analoghe per questi grandi predatori dei mari, considerati ormai a rischio di estinzione per la pesca eccessiva, inclusa la pratica crudele dello “spinnamento”, ovvero il taglio delle pinne agli squali vivi, che poi vengono ributtati in mare, dove muoiono.
Avant Meats, una start-up di Hong Kong che produce anche filetti di pesce coltivati in laboratorio, ha sviluppato una versione delle fauci di pesce su base cellulare. Il prodotto non è ancora sul mercato, ma diverse catene di ristoranti hanno espresso interesse, in parte spinte dalla questione della sostenibilità ma anche dai potenziali risparmi, perché al contrario della versione naturale le fauci di pesce coltivate in laboratorio hanno una lvorazione molto più semplice e si presentano in una confezione pronta all’uso, facile da porzionare.
Gli sforzi per replicare la pinna di squalo rimangono invece più aleatori. New Wave Foods, una start-up biotecnologica newyorkese che produce alternative ai frutti di mare, ha annunciato l’intenzione di sviluppare una versione coltivata in lavoratorio delle pinne di squalo, ma per ora si è concentrata sui gamberetti.
I prezzi elevati, insieme ai divieti normativi, rendono attraente la produzione di alternative in laboratorio, basate sulla coltivazione di cellule animali, a cui si tenta poi di conferire il gusto e la consistenza della carne o del pesce convenzionali. Come per la carne coltivata in laboratorio, questi prodotti sono molto più sostenibili dei loro corrispondenti naturali, ma i costi sono ancora elevati.
Nel caso degli ingredienti gourmet, il differenziale di prezzo tra la versione da laboratorio e quella convenzionale può essere minore, ma ci sono ancora barriere normative da superare: finora Singapore è l’unico Paese ad aver concesso l’approvazione per la vendita di carne coltivata in laboratorio.
Che le prelibatezze cellulari possano avere successo è discutibile, perché gli ingredienti di questo tipo non vengono acquistati tanto per le loro qualità culinarie, quanto per segnalare lo status sociale di chi li offre. I cambiamenti nella cultura alimentare, però, succedono e i governi possono svolgere un ruolo importante.
A partire da quest’anno, ad esempio, New York ha vietato, dopo la California, la vendita di foie gras prodotto dall’alimentazione forzata. La sua produzione è già vietata in molti Paesi, tra cui Regno Unito, Germania, Danimarca e Australia. Il governo cinese, a sua volta, sta cercando di spingere la popolazione verso abitudini alimentari più sostenibili. La pandemia di Covid-19, partita dal mercato di animali vivi di Wuhan, potrebbe essere una buona occasione per accendere un faro su queste abitudini.
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