Dal whisky scozzese alle auto, i distillati diventano energia green
Un processo brevettato da Martin Tagney trasforma gli scarti dei mosti fermentati di malto e cereali in sostituti eco per il settore dei carburanti.
di Alexis Paparo
3' di lettura
Biocombustibili, prodotti per l'industria chimica, farmaceutica, cosmetica e ottica, schermi degli smartphone, realizzati in Scozia a partire dagli scarti della lavorazione del whisky. L'idea alla base non è nuova: la fermentazione ABE, che porta alla formazione di acetone, butanolo ed etanolo, è stata sviluppata come processo industriale nel Regno Unito oltre 100 anni fa, per poi diffondersi dal Sudafrica alla Cina. Al suo apice, ha dato vita alla seconda bio-industria al mondo, dopo quella del beverage. Negli anni Sessanta viene surclassata da quella petrolchimica da cui dipendiamo ancora oggi, perché più economica. Ed è qui che nasce l'intuizione del professor Martin Tangney, fondatore e presidente di Celtic Renewables. Come poter ottenere una materia prima alternativa da fermentare, che sia al tempo stesso a basso costo, sostenibile, affidabile e consistente? La risposta arriva dalla più grande industria scozzese, quella del whisky, che ne produce circa 450 milioni di litri all'anno. Se si considera che solo il 10 per cento di ciò che giunge in distilleria si trasforma nella bevanda tra le più amate e preziose al mondo, si ha il polso della quantità di residui e scarti a cui viene dato nuovo valore.
Fondata 10 anni fa con un primo focus sui biocombustibili, Celtic Renewables ha oggi uno stabilimento pienamente operativo a Grangemouth che produce un milione di litri di prodotti biochimici all'anno e raggiungerà la massima capacità produttiva nel 2023. In mezzo, tanti riconoscimenti e primati: nel 2015 l'azienda è nominata la Pmi biotecnologica più innovativa in Europa dal parlamento UE, nel 2017 alimenta la prima auto al mondo con biobutanolo derivato dai residui della produzione di whisky, nel 2020 ottiene oltre 20 milioni di sterline di finanziamenti per realizzare il primo impianto, obiettivo raggiunto nonostante le difficoltà legate alla pandemia. Di recente, l'attenzione si è focalizzata sull'elaborazione di alternative per l'industria chimica «un settore dove possiamo fare subito la differenza e, al contempo, raggiungere velocemente la profittabilità», esordisce Tangney. «Il butanolo e l'acetone sono ovunque: direttamente nei prodotti che usiamo, oppure alla base della loro realizzazione. Proponendo l'alternativa biologica, si riesce ad avviare un percorso di economia circolare che non ha bisogno di alcuna modifica al processo industriale e manifatturiero del settore chimico».
Tangney spiega che il processo, brevettato nel 2010, è perfettamente scalabile e, al momento, sono in corso conversazioni con imprenditori e imprese per costruire stabilimenti più grandi, in Scozia e altrove. Accanto al whisky, lo stabilimento processa anche le patate del settore agricolo locale, dato che una su quattro non riesce a entrare nel circuito della grande distribuzione per difetti estetici o di calibro. «Ci sono tanti Paesi oggi dove si produce whisky oltre alla Scozia: l'Irlanda, il Giappone, l'India, gli Stati Uniti, ma la verità è che questa tecnologia è applicabile a qualsiasi scarto e residuo agricolo e biologico. Non ci sono limiti a come può essere adattata», aggiunge. «Se l'idea non fosse partita da qui, probabilmente avrei usato un'altra materia prima». Ed è questa la forza del progetto. «Nei prossimi anni, l'obiettivo è diffonderlo nel mondo. Vogliamo fare in modo che la fermentazione ABE possa fare la propria parte per alimentare la bioeconomia circolare e ridurre la dipendenza dai prodotti petrolchimici. I prossimi dieci anni sono cruciali per raggiungere l'obiettivo. Non solo qui in Scozia, non solo attraverso il whisky».
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