Dalla fuga dei cervelli alla circolazione, un passo per lo sviluppo del Paese
Vanno studiati esempi di semplici agevolazioni per cercare di attrarre talenti qualificati dall’estero
di Massimo Anelli*
3' di lettura
Sempre più giovani lasciano il nostro Paese. Secondo gli ultimi numeri pre-Covid, nel 2019 gli italiani che si sono iscritti all’Anagrafe degli emigrati (Aire) sono stati 122mila.
Considerando che gli espatri effettivi di italiani si stima siano 2,6 volte superiori a quelli ufficialmente registrati da Aire, questi flussi equivalgono alla perdita ogni anno di una città delle dimensioni di Bari. Una Bari composta prevalentemente da giovani con istruzione universitaria e capitale imprenditoriale. Per fornire un’immagine chiara di questa emergenza migratoria, se gli italiani partissero per l’estero su “barconi”, nel 2019 avremmo visto ogni settimana 61 barche con 100 italiani salpare dai nostri porti.
Come termine di paragone, nello stesso anno solo poco più di 2 barche con 100 immigrati a settimana hanno attraversato il Mediterraneo e sono sbarcate sulle coste italiane.
Tuttavia gli effetti dell’emigrazione sono meno studiati e discussi di quelli dell’immigrazione. Nel lungo periodo l’emigrazione potrebbe essere vantaggiosa per la crescita attraverso la migrazione di ritorno, lo scambio di idee, il commercio internazionale e le rimesse economiche.
Tuttavia, se coloro che emigrano sono tra i più produttivi e imprenditoriali, l’emigrazione potrebbe ridurre il potenziale di crescita del Paese e deprimere l’occupazione. Quale delle due dinamiche prevalga è una domanda empirica.
In uno studio con Gaetano Basso di Banca d’Italia, Giuseppe Ippedico e Giovanni Peri dell’Università della California, abbiamo stabilito un nesso causale tra emigrazione e imprenditorialità.
Stimiamo che per ogni mille italiani emigrati tra il 2008 e il 2015, ogni anno siano state registrate circa 36 imprese in meno. Questa “fuga di imprenditorialità” è particolarmente grave per le imprese create da persone di età inferiore ai 45 anni e tra le startup innovative. Un esercizio di decomposizione mostra che solo il 36% della perdita totale di imprese è determinato dalla semplice contrazione della popolazione, mentre il 7% è guidato dal fatto che gli emigranti sono più giovani e quindi più imprenditoriali della popolazione media e il 10% è dovuto al loro alto livello di istruzione.
Il restante 47% della perdita di imprese è determinato dal fatto che, indipendentemente dall’età e dall’istruzione, gli emigrati italiani hanno maggiore probabilità di essere imprenditori rispetto alla popolazione.
L’idea quindi che con l’emigrazione di tanti italiani si “liberino” posti di lavoro per chi rimane non è supportata dell’evidenza empirica. Anzi, con la perdita di tanti potenziali imprenditori, l’emigrazione riduce le opportunità di lavoro per chi rimane. In un Paese come l’Italia, dove la crescita economica è lenta, il livello di istruzione medio è basso e la popolazione sta invecchiando rapidamente, gli alti tassi di emigrazione di giovani talenti innescano quindi una potenziale spirale negativa che rinforza la stagnazione economica.
Che fare quindi per evitare i costi dell’emigrazione? Si può certamente agire sui motivi che spingono tanti giovani italiani di successo ad attraversare confini e mari: salari non competitivi con il resto del mondo, una burocrazia che scoraggia la creazione di impresa, una politica che guarda poco alle nuove generazioni. Ma avere italiani che si spostano all’estero porta tanti benefici perché crea network fondamentali per l’export, l’innovazione e la ricerca. La vera sfida non è quindi fermare la fuga di cervelli e imprenditori, ma è quella di attrarli, indipendentemente dal fatto che siano italiani o meno. Anzi, è importante attrarre cervelli stranieri, dato che molti studi mostrano come la diversità culturale, sociale e di idee siano ingredienti primari per il successo nell’impresa, nella ricerca e nell’innovazione.
L’Ocse ha elaborato un indice di attrattività di stranieri con master e dottorati, basato su accessibilità ai permessi di soggiorno, inclusività e capacità di accoglienza di famiglie straniere. L’Italia purtroppo è fanalino di coda in questa classifica, piazzandosi davanti solo a Grecia, Messico e Turchia. L’estensione delle agevolazioni fiscali del rientro dei cervelli italiani a tutti i talenti stranieri, un sistema di permessi di soggiorno e un accesso alla naturalizzazione facilitati per cervelli e innovatori, l’accesso a tutta la burocrazia pubblica in lingua inglese e istruzione scolastica pubblica con alcune classi in inglese sono esempi di politiche a basso costo che permetterebbero il cambio di paradigma dalla “fuga” alla “circolazione dei cervelli”.
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