Desaparecidos, gli ufficiali sapevano: il sequestro era il primo passo verso l’eliminazione
La Suprema corte ha depositato le motivazioni della sentenza, che riguarda gli scomparsi di origine italiana, con la quale ha confermato gli ergastoli per 14 ufficiali sudamericani
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
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Gli ufficiali dei servizi di sicurezza sudamericani sapevano che i rapimenti erano finalizzati all’eliminazione dei “desaparecidos”. La prima sezione penale della Cassazione (sentenza 43693) ha depositato le motivazioni con le quali, a luglio scorso ha confermato le condanne all’ergastolo di 14 ex alti ufficiali, esponenti delle giunte militari e dei Servizi di sicurezza di Paesi sudamericani, al potere tra gli anni ’70 e ’80, legati al cosiddetto “piano Condor”, che portato all’eliminazione di migliaia di oppositori politici.
I «desaparecidos» di origine italiana
La sentenza riguarda “desaparecidos” di origine italiana, rapiti e uccisi in Sudamerica negli anni delle dittature militari. Altri imputati condannati in primo grado e in appello sono nel frattempo deceduti.
La Cassazione avalla la decisione della Corte d’Appello che ha «adeguatamente evidenziato come tutti gli imputati fossero perfettamente a conoscenza della esatta situazione relativa all’esecuzione del progetto di eliminazione (eventualmente anche fisica) degli oppositori politici, scandito dalle varie fasi, succedutesi in un sufficientemente ampio arco temporale, della individuazione dei soggetti da arrestare, del loro sequestro, della successiva detenzione clandestina con sottoposizione a torture e della definitiva eliminazione con occultamento dei cadaveri».
Le responsabilità dei ranghi intermedi
Tra i condannati anche Jorge Nestor Troccoli, l’unico che risiedeva in Italia e arrestato dopo la sentenza, ritenuto membro dell’intelligence uruguayana e legato al regime del suo Paese.
Per i giudici di legittimità é corretta l’affermazione di responsabilità anche per imputati, come lui, appartenenti ai cosiddetti “ranghi intermedi”, con l’aggravante della premeditazione.
Lineare la decisione della Corte territoriale secondo la quale individuati gli oppositori politici e progettato il loro rapimento e il loro interrogatorio, i “quadri intermedi” accettarono dall’inizio «il rischio della soppressione dei sequestrati, non rileva se durante le perpetrazione delle torture o successivamente».
La Suprema corte, basandosi sugli atti, esclude che i rapimenti fossero semplicemente finalizzati a fare degli interrogatori per poi rilasciare gli oppositori. La ricostruzione fatta, al contrario «consente ragionevolmente di affermare che la decisione di uccidere i prigionieri veniva già presa al momento della loro localizzazione e del loro sequestro e rimaneva ferma, tanto che per la sua attuazione risultavano già predeterminati i luoghi e, sostanzialmente i tempi».
Una sentenza storica per il legale di parte civile
A questi ergastoli vanno poi sommati quelli di tre militari cileni condannati a Roma per gli omicidi commessi all’epoca della dittatura di Pinochet sempre nei confronti di cittadini “desaparecidos” di origine italiana.
Si tratta del colonnello Rafael Francisco Ahumada Valderrama, il sottufficiale Orlando Vasquez Moreno (entrambi responsabili dell'omicidio del sacerdote cileno Omar Venturelli) e il brigadiere Manuel Vasquez Chahuan.
Nei confronti dei tre militari, che non hanno presentato ricorso in Cassazione, il sostituto procuratore generale Pietro Maria Catalani ha inviato al Cile la richiesta di arresto provvisorio.
Ad esprimere grande soddisfazione per il verdetto è l’avvocato di parte civile per alcune famiglie delle vittime e presidente dell’Onlus “Coalizione italiana libertà e diritti civili” Arturo Salemi. «La pronunzia della giustizia italiana sulla vicenda dei desaparecidos in America Latina – e sul patto criminale tra le dittature del Sudamerica negli anni Settanta – costituisce una pagina storica sul terreno della verità e giustizia nei confronti di crimini contro l’umanità. Si conclude così un percorso durato anni in cui sono state ricostruite le tragiche vicende di sequestri, torture, omicidi, sparizioni di cadaveri, rapimenti di bambini, perpetrati in danno di una intera generazione di oppositori politici e di militanti sociali e sindacali».
Una pietra miliare per la giurisprudenza secondo Aurora Meloni, moglie di Daniel Banfi, italouruguaiano catturato 13 settembre del 1974 nella notte a Buenos Aires, il suo cadavere fu ritrovato oltre un mese dopo.
Un maxi processo iniziato nel 2013
Un maxi-processo, iniziato a ottobre 2013 con le udienze preliminari, che si è svolto in Italia perché ha riguardato 23 vittime di origine italiana residenti in Sud America, e ha visto sul banco degli imputati 27 persone appartenenti ai vertici politici e militari di Cile, Argentina, Bolivia, Perù e Uruguay.
La presenza di italiani fra le vittime della dittatura, circa un migliaio tra i 30 desaparecidos, ha portato ad iniziative giudiziarie, al pari di quanto avvenuto in altri paesi europei, e a denunciare anche i rapporti fra il governo italiano e i militari della Junta, evidenziando i legami e gli interessi pubblici e privati coinvolti.
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