Dimissioni, stipendio e mito del posto fisso: come cambia la mappa dei desideri
Prevale a volontà, sempre più concreta e tangibile, di trovare un lavoro maggiormente in linea con le proprie ambizioni, priorità e valori
di Gianni Rusconi
4' di lettura
Ci sono attualmente diversi “dossier” sul tavolo di chi si occupa di risorse umane in senso stretto e di chi, all'interno dell’organizzazione, ricopre un ruolo di leadership ed è a capo di un team. Il fenomeno della “Great Resignation”, e quindi delle persone che decidono di lasciare il proprio lavoro - in alcuni casi senza avere già pronta un’alternativa e (con una frequenza sempre maggiore) intraprendendo percorsi professionali non in linea con l’impiego precedentemente ricoperto - è sicuramente uno di questi. Prassi da considerarsi ormai come normale? Secondo Orazio Stella, senior partner della società di ricerca e selezione Loriga&Associati, ci sono da fare alcune considerazioni in merito.
“Non dobbiamo pensare – spiega - che questo fenomeno sia riconducibile all’idea astratta di aprire, come spesso sentiamo dire, un chiringuito su una spiaggia tropicale, proprio perchè è legato alla volontà, sempre più concreta e tangibile, di cercare e trovare un lavoro maggiormente in linea con le proprie ambizioni e priorità, con i propri valori. Ed è questo l’aspetto sui cui le aziende e i manager dovranno concentrarsi: se fino a pochi anni fa il lavoro era il mezzo attraverso il quale generare il reddito necessario a soddisfare i propri bisogni materiali, oggi, ed in futuro lo sarà sempre di più, le persone in generale e i nati dal 1990 in avanti in misura ancora superiore, sono molto meno disponibili a negoziare la propria realizzazione personale e professionale e a scendere a compromessi, anche a fronte di una retribuzione interessante”.
La questione è nota, riflette un sentiment che viene dal basso in risposta a un cambiamento di percezione dei valori legati all’attività professionale e mette in qualche modo all’indice il management, a cui si può imputare in qualche modo la responsabilità per la “fuga” degli addetti dal posto fisso. Ma è davvero così?
Secondo Stella, “più che di una specifica responsabilità dei responsabili Hr, parlerei della difficoltà che hanno molti senior team di grandi e medie imprese nel formulare una proposta che risulti interessante per i propri dipendenti e che sia, allo stesso tempo, in linea con le strategie aziendali. Spesso, in passato, si è pensato che si potesse onorare quello che viene chiamato il contratto psicologico tra azienda e dipendente, ipotizzando pacchetti retributivi particolarmente attrattivi. Oggi, invece, c’è grande attenzione anche al senso da dare all’attività svolta dentro l’organizzazione, e questo senso è spesso formulato in maniera vaga o, addirittura, nemmeno ipotizzato”.
Altro tema oggetto di discussione è proprio il peso dello stipendio sulle decisioni di futuro impiego dei lavoratori. Alcuni numeri, in tal senso, parlano chiaro: negli ultimi dodici mesi si stima che abbiano cambiato professione il 76% dei Millennials (e il 28% della Generazione X) e solo in meno del 10% dei casi la retribuzione è stata un fattore decisivo nella scelta.
Da qui la necessità, per manager e imprenditori, di costruire una relazione che vada ben al di là del mero scambio “tempo - denaro”, di stipendi, di strutturarsi con competenze specifiche soprattutto in ambito Hr e organizzazione per evitare di perdere i migliori talenti e, di conseguenza, rischiare di compromettere il business dell’azienda. Rivedere le priorità sarà dunque un passaggio fondamentale anche in relazione a un aspetto di non trascurabile importanza: i Millennials sono sì l’archetipo del lavoratore che pensa a bilanciare professione e vita privata, ma le aspettative in fatto di work life balance valgono per tutte le tipologie di professioni.
“Si tratta - spiega ancora il partner di Loriga&Associati - di un’evoluzione psicologica che non riguarda solo funzioni con un più alto contenuto intellettuale, bensì il rapporto tra la persona e la propria mansione. Oggi il lavoro deve soddisfare le esigenze primarie del lavoratore, tramite la retribuzione, ma restano poi da coprire quelle necessità di realizzazione personale che, per questa categoria di persone, sono almeno altrettanto importanti e transitano anche attraverso il conferimento di uno scopo alla propria attività lavorativa”.
L’aumento della cifra in busta paga, insomma, va considerato come un possibile elemento trainante e motivante, ma deve essere affiancato a una serie di iniziative che aiutino a preservare il benessere delle persone, il loro equilibrio fra vita professionale e vita privata e consentire loro di inserire il lavoro in un complessivo progetto di vita. Nelle scelte che riguardano il proprio futuro, inoltre, non vanno certo trascurati i benefit e il welfare aziendale, i programmi di formazione continua e i piani di smart working, tutte componenti che, come evidenzia Stella, “pesano almeno quanto lo stipendio e a volte anche di più, e questo vale in particolare per le soluzioni che si legano alla disponibilità del proprio tempo e alla propria employability”.
Il cambiamento del mondo del lavoro, accelerato e acuito negli ultimi due anni dallo sviluppo dello smart working, è qualcosa di ampio e profondo, che riguarda le organizzazioni e le persone, e i valori che le ispirano. Si va, in altre parole, verso quella che viene definita da vari esperti “la ricerca della sostenibilità sociale”, un obiettivo molto difficile da misurare perché non parametrato su valori oggettivi ma che in realtà ha un impatto notevole anche a livello economico e organizzativo.
Da qui la necessità, per manager e leader, di rinforzare il proprio bagaglio di attributi e conoscenze con nuovi requisiti, che a detta di Stella sono essenzialmente tre: “la capacità di formulare una proposta professionale che consenta di considerare il tempo trascorso al lavoro come parte dello sviluppo personale della persona, l’attitudine a gestire un approccio multiculturale in grado di integrare le differenze che caratterizzano il singolo individuo e, infine, una visione di lungo periodo che vada oltre, molto oltre, il tradizionale approccio dei risultati da ottenere ogni quarter”.
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