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Diritti sulla CO2 a 100 euro: una spinta all’idrogeno, ma anche ai consumi di gas

È la soglia di prezzo che rende convenienti idrogeno verde e sequestro dell’anidride carbonica. Cresce anche l’incentivo a bruciare gas anziché carbone nelle centrali, fenomeno non privo di rischi oggi che la sicurezza energetica non è scontata

di Sissi Bellomo

(Adobe Stock)

3' di lettura

Inquinare non è mai stato così caro in Europa. Il prezzo dei permessi per la CO2 ha superato 100 euro per tonnellata a metà febbraio, spingendosi ai massimi dal 2005, quando è stato creato il mercato europeo dei diritti di emissione EU-ETS (Emission Trading System).

Non è solo una cifra tonda, ma una soglia tecnica e psicologica di particolare rilevanza, perché è a questi livelli di prezzo che secondo gli analisti diventa economicamente vantaggioso investire nelle tecnologie pulite più costose, ma cruciali per la decarbonizzazione, come l’idrogeno verde (ossia quello prodotto con fonti rinnovabili) e gli impianti CCS, per la cattura e il sequestro dell’anidride carbonica, che peraltro godono anche di incentivi pubblici.

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Perché ci sia un effetto tangibile sugli investimenti è chiaro che non basta un’impennata temporanea: la CO2 deve rimanere molto cara. In ogni caso «se si pensa che andremo sopra 100 euro in modo permanente, si crea un ambiente molto costruttivo per l’idrogeno verde», osserva Mark Lewis, head of climate research di Andurand Capital. Il fatto che questa soglia sia stata violata ha un’«importanza simbolica» secondo l’esperto, perché «la gente comincerà a realizzare che siamo in un nuovo paradigma».

Il contratto benchmark per le quote di CO2 – il future per dicembre 2023 sulle European Union Allowances (EUA), quotato all’Ice Endex – ha già in parte ritracciato dopo essersi spinto martedì 21 fino a un picco di 101,95 euro per tonnellata: mercoledì 22 scambiava intorno a 96 euro, in ribasso del 4%. Ma le tensioni non sono una novità e sembrano destinate a durare, sia pure tra alti e bassi.

Negli ultimi cinque anni il valore dei permessi per inquinare è quintuplicato e il rialzo dei prezzi ha accelerato con l’adozione di politiche europee sempre più stringenti a favore dell’ambiente, che a breve porteranno ad un ritiro più rapido dei diritti in circolazione e al moltiplicarsi dei soggetti obbligati a partecipare all’Emission Trading System.

La Commissione Ue smetterà anche di assegnare permessi gratuiti alle industrie energivore, in parallelo all’adozione della Cbam, o Carbon Border Adjustment Mechanism: tassa sulla CO2 che verrà applicata alla frontiera, su una serie di prodotti importati in Europa.

Il rincaro dei permessi per la CO2 stimola – con logiche di mercato – la transizione verde ed è quindi “giusto” che avvenga: del resto è proprio questo lo scopo per cui è stato creato l’Emission Trading System. Ma se fa bene all’ambiente, il rally di queste settimane crea anche qualche inquietudine: non solo per la competitività delle imprese europee – che lamentano l’ennesimo aggravio dei costi rispetto alla concorrenza straniera – ma forse anche per la sicurezza energetica del Vecchio continente.

Permessi per inquinare sempre più costosi forniscono un ulteriore incentivo a spegnere le centrali a carbone, tornando a bruciare più gas: è quello che gli esperti chiamano gas-to-coal switch, fenomeno tramontato quando il prezzo del gas volava a livelli stratosferici, ma che ora è tornato ad essere una concreta possibilità.

Il combustibile, tornato a scambiare intorno a 50 €/MWh al Ttf, già da gennaio ha recuperato competitività nella generazione elettrica, quanto meno rispetto alle centrali a carbone più vecchie e meno efficienti (e questo nonostante sia diminuito anche il prezzo del carbone).

Per l’ambiente è senza dubbio un bene. Il problema è che una forte ripresa dei consumi di gas non è auspicabile in questa fase ancora molto delicata, in cui la crisi energetica continua a mordere e l’Europa non può dare per scontata la continuità delle forniture, che siano via gasdotto o in forma di Gnl.

Il ricorso al carbone – per quanto inquinante – ha dato un contributo decisivo al risparmio di gas, che nella Ue ha superato gli obiettivi: tra lo scorso agosto e gennaio i consumi, secondo Eurostat, sono stati inferiori del 19,3% rispetto alla media quinquennale del periodo, a fronte di un target di riduzione del 15%. Solo in Italia il “programma di massimizzazione delle centrali a carbone” ha fatto risparmiare 700 milioni di metri cubi di gas in cinque mesi, secondo dati raccolti dal Sole 24 Ore.

Se le centrali a gas accelerano bisognerà trovare risparmi altrove. Il rischio di carenze non è scomparso, ha avvertito ancora nei giorni scorsi l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), prefigurando nello scenario più pessimista un “buco” di 40 miliardi di metri cubi in Europa quest’anno.

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