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«Economia in frenata, ma la finanza sostenibile non tornerà dietro»

L’amministratore delegato del gruppo di risparmio gestito francese Bnp Paribas AM fa il punto su strategie Esg, transizione green e quadro economico

di Vitaliano D'Angerio

3' di lettura

Ha ancora senso parlare di sostenibilità nell’attuale quadro macroeconomico? A quanto pare sì. Dalla finanza sostenibile non si torna più indietro nonostante i recenti casi di greenwashing. «La sostenibilità non è una moda e fa parte del nostro Dna. Noi abbiamo una metodologia molto rigorosa. Certo, il greenwashing è un problema ma tenga conto che siamo di fronte a un grande fenomeno di transizione. Per raggiungere il net zero di CO2 vi saranno investimenti a livello mondiale di oltre 3 trilioni di dollari l’anno: per dare una dimensione sono pari al 50% degli utili delle aziende di tutto il mondo. È una grande riallocazione di capitali e bisognerà gestire questa transizione». A parlare è Sandro Pierri, amministratore delegato di Bnp Paribas Asset Management, arrivato un anno fa al vertice del gruppo di risparmio gestito francese.

Quali sono le principali difficoltà per i gestori impegnati nella transizione green?

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Innanzitutto, la mancanza di dati e il reperimento degli stessi. E poi le regole da applicare, che sono in continua evoluzione. Il rischio di greenwashing dunque esiste. Per quanto ci riguarda, noi operiamo nella massima trasparenza e con il massimo rigore metodologico.

Il 2 agosto saranno da applicare le preferenze di sostenibilità come previsto dalla Mifid2 modificata. Non la spaventa l’euroburocrazia? Non si rischia un effetto boomerang con tutte queste scartoffie?

Penso che sia un passaggio importante e un altro tassello nel processo di riallocazione di capitale. Certo, prevedo un avvio lento. Ci sarà da carburare ma lo sviluppo sarà positivo. No, non vedo un effetto boomerang.

Resta il fatto che in Europa facciamo tante regole, ma poi a sanzionare è la Sec. Non crede?

Negli Usa c’è un evidente ritardo sul versante sostenibilità. L’Europa è in vantaggio sul quadro regolamentare. C’è grande serietà fra i player di mercato e sul versante dei controlli.

Parliamo delle vostre strategie. Quali sono le aree geografiche su cui puntate?

Europa ed Asia. In particolare Francia, Belgio e Italia sono i nostri più importanti mercati, ma stiamo andando bene anche in Germania».

Mille miliardi di euro. Secondo molti consulenti è la dimensione minima di masse in gestione che consente a un asset manager di competere in Europa. È d’accordo?

Al 31 marzo gestiamo 522 miliardi di euro di masse che sono coerenti con il nostro modello di business. La nostra sfida è la qualità della gestione e la relazione con i clienti, non esclusivamente le economie di scala.

Com’è cambiato il vostro modello di business?

Siamo innanzitutto passati da una struttura multiboutique a un business integrato a livello mondiale, con un unico brand. E abbiamo cinque competenze ben definite sotto il tetto della sostenibilità.

Quali sono queste competenze?

Sono aree di specializzazione. C’è innanzitutto la gestione attiva che a nostro avviso avrà un ruolo sempre più importante nei prossimi anni. La seconda area è invece relativa ai mercati emergenti dove gestiamo circa 80-85 miliardi di euro. E ancora il settore multiasset, dove siamo forti sia nel retail che a livello di investitori istituzionali. Infine, copriamo molto bene i segmenti private asset e money market.

A quanto ammonta la vostra raccolta netta?

Nel 2021 la raccolta netta è stata di 35 miliardi di euro.

Obiettivi di raccolta 2022?

Non diamo obiettivi.

Asia ed Europa sono le aree su cui puntate. Quanto pesano sulle vostre masse gestite?

L’Europa rappresenta circa il 70% e l’Asia il 20%.

Fra le vostre aree di specializzazione vi sono i mercati emergenti. Come vi ponete sul rispetto dei diritti umani da parte della Cina?

Noi applichiamo la nostra filosofia allo stesso modo ai Paesi sviluppati così come a quelli emergenti. Su quest’ultimi è chiaro che bisogna avere un approccio più graduale. C’è da sottolineare però un punto: se non riusciamo a supportare i Paesi emergenti, il processo di transizione non sta in piedi. Il ruolo di investitore è importante in tale ambito. La nostra riflessione sulla Cina è immutata. È un’area di crescita importante dove applichiamo le nostre policy e principi in modo coerente.

Più in generale sul versante macroeconomico, ci sono una serie di variabili importanti come l’inflazione, la guerra e i tassi in crescita. Previsioni?

La nostra visione da inizio anno è sempre stata molto prudente. Sta di fatto che il rischio recessione è aumentato, anche se non è il nostro scenario principale. Noi prevediamo un forte rallentamento dell’economia, ma se le aspettative di inflazione cominciano a raffreddarsi potrebbero crearsi importanti opportunità sul segmento del reddito fisso.

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