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Editoria e audiovisivo, la partita si gioca sull’identità culturale

Ricardo Franco Levi (Aie): «L’industria del libro in Italia non usufruisce di contributi diretti al settore». Luca Barbareschi: «La competizione su scala globale richiede risorse importanti»

di Andrea Biondi

3' di lettura

«Quella del libro è un’industria all’avanguardia. Amazon, l’emblema dell’innovazione, è nata come distributore di libri». Per Ricardo Franco Levi, presidente Aie (associazione italiana di editori di libri), «se Amazon lo ha scelto è perché quello dei libri è un settore in cui esisteva una banca dati di tutti i libri in commercio, un sistema condiviso e codificato di messaggistica, un codice di identificazione dei prodotti univoco e coerente in tutta Europa. L’innovazione attraversa da anni tutta l’editoria: scolastica, di varia e professionale. Dal 2011 tutti i testi scolastici hanno una versione digitale».

Così, forte di questa legacy, l’Italia del libro «che non usufruisce di contributi diretti al settore» – rivendica Levi nel corso del panel “Il nuovo mondo dell’editoria, le trasformazioni del mercato audiovisivo: leggere i mestieri del futuro”, durante gli Stati Generali della Cultura organizzati dal Sole 24 Ore – «nel 2024, ben 36 anni dopo l’ultima volta, sarà ospite d’onore della più importante fiera nel mondo del libro: quella di Francoforte».

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Va detto che in alcuni casi la pandemia ha fatto riaffiorare una innovazione che appariva distante. Giulia Cogoli, ideatrice e direttrice dei Dialoghi di Pistoia, appuntamento arrivato alla sua tredicesima edizione, ha ricordato l’impatto del Covid su festival e manifestazioni culturali che non rappresentano un fenomeno trascurabile visto che «almeno una decina sono sopra le 80mila presenze» e che in molti casi hanno rappresentato un volano per il territorio come nel caso del “Festivaletteratura” di Mantova. «Il 20% dei Festival – ha aggiunto – non ha resistito alla pandemia. Ma, grazie al digitale, molti hanno abbracciato una trasformazione che rappresenta il futuro: il passaggio da contenitori a produttori di contenuti, fruibili tutto l’anno».

Attenzione però, perché l’innovazione non è una cornucopia traboccante a prescindere da tutto. «Oggi – ha puntualizzato Federica Manzon, direttrice didattica della Scuola Holden – i ragazzi scrivono molto di più». Le piattaforme social rappresentano anche una possibilità di lavorare con la scrittura. Ma far passare il modello dei social media manager di se stessi «finisce per mettere a rischio il necessario disegno che va verso la riaffermazione del ruolo di chi scrive come di un produttore di cultura. Su questo c’è bisogno di uno sforzo comune, a partire dalle istituzioni».

Un ulteriore aspetto, poi, è chiamato in causa da Luca Barbareschi, produttore indipendente che nel corso del suo intervento ha annunciato per settembre «la riapertura dell’Eliseo di Roma grazie a Intesa Sanpaolo e ad altri 10 partner». È il tema dell’innovazione che richiede anche spalle forti, economie di scala. «Itsart (la piattaforma di video on demand partecipata al 51% da Cdp e al 49% da Chili e pensata per vendere eventi culturali attraverso lo streaming, ndr.) – è una bellissima intuizione. Ma il Ministro Franceschini è stato consigliato male. E i risultati lo dimostrano (rosso di 7,5 milioni nel primo anno, ndr.). Con le risorse a disposizione non poteva averla vinta contro i miliardi degli Ott che sono progetti politici per conquistare e colonizzare il mondo». Anche se non è solo questione di stazza. «Israele – ricorda Barbareschi – è più piccola e meno popolosa dell’Italia», ma è riuscita a rendere le sue serie e i game show riconoscibili nel mondo». A tutto vantaggio «della valorizzazione dell’identità culturale». Non ha dubbi dal canto suo Sergio Cerruti, presidente Afi–Associazione Fonografici Italiani: «Serve una golden power anche per difendere i nostri interessi culturali».

Chi si sta frontalmente scontrando con il mondo del giganti del web e del videostreaming sono i broadcaster. «Il settore dell’industria dei contenuti in Italia vale 25 miliardi: l’1,5% del Pil. Come radio e tv siamo a 100mila addetti nel complesso e 10 miliardi di fatturato», ha detto Franco Siddi, presidente di Confindustria Radio Televisioni, aggiungendo che «la Tv rimane il motore principale di sostegno dell’industria del cinema e dell’audiovisivo in Italia, con 1 miliardo all’anno». Ma serve attenzione: «Penso ad esempio alla “prominence”. I broadcaster sono minacciati dalla difficoltà di individuazione e di accesso alla propria offerta sui telecomandi dei nuovi televisori, con tasti che indirizzano gli utenti prioritariamente verso le nuove piattaforme. È un tema fondamentale per la continuità delle nostre aziende».

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