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Evelina Christillin: «Cultura e sport lingue universali, ora occorre più attenzione a certe assegnazioni»

«Personaggi come Dino Zoff e Bebe Vio sono campioni sul campo e nella vita, forze al di là di ogni parola e di ogni tempo»

di Maria Luisa Colledani

Evelina Christillin

6' di lettura

«La cultura e lo sport sono lingue universali, l’esperanto del XXI secolo». Ed Evelina Christillin potrebbe essere la migliore insegnante di questa lingua, sempre in elegante equilibrio fra i due mondi, passando dalla prima pagina del «New York Times» (dopo la conquista dei Giochi invernali di Torino) alla presidenza del Museo Egizio, dalle cattedre universitarie ai board di Fifa e Uefa.

Lo studio della presidente della Fondazione del Museo, nella magnifica piazza Carignano, è pieno della luce di questa primavera così capricciosa, un’orchidea in fiore si protende verso i vetri, lo sguardo della manager va oltre e si allunga fino al conflitto che insanguina già da due mesi l’Ucraina: «Come consigliere di Fifa e Uefa, ho assistito da dentro alle prese di posizione del calcio. Dal 24 febbraio all’8 marzo siamo stati in una sorta di riunione continua. Prima abbiamo tolto la finale di Champions League a San Pietroburgo, poi abbiamo pensato all’idea di far gareggiare gli atleti russi senza inno né bandiera. Ma gli eventi, giorno dopo giorno, e il loro carico di tragedia ci hanno travolto fino all’esclusione della Russia e delle squadre russe da tutte le manifestazioni e alla rescissione del contratto con Gazprom che, da solo, vale 150 milioni di euro: lo sport ha fatto la sua parte anche spinto fortemente dalle proteste dei cittadini, dei tifosi. Non potevamo non tener conto della loro volontà, delle loro richieste di punizione esemplare». Non sono state solo le parole senza appello di Robert Lewandowski, bomber di quella Polonia che avrebbe dovuto giocare contro la Russia per un posto ai Mondiali in Qatar: «Tutto il bello del calcio è in contraddizione con la guerra: non posso immaginare di giocare una partita contro la Russia che uccide in Ucraina».

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E Christillin riconosce che «le scelte dello sport sono solo gocce nel mare di una tragedia, ma a livello mediatico sono decisioni forti. Per un personaggio come Putin, che attraverso lo sport fa propaganda politica, che usa atleti e vittorie per mostrare il suo potere, vedersi togliere la presidenza della federazione internazionale di judo o il collare d’oro dell’Ordine olimpico è una sconfessione davanti al mondo dal forte impatto mediatico». Certo è che questi mesi feroci devono far riflettere le istituzioni che governano lo sport sul fenomeno dello sportwashing, su quelle manovre dei Paesi autoritari e senza scrupoli di usare le gare per pulirsi la coscienza: «Sono i soliti ad avere i soldi, tanti soldi, per organizzare le manifestazioni - Emirati, Qatar, Arabia Saudita, Cina – ma, forse dopo questa ennesima dimostrazione di incongruenza fra sport e Paesi ospitanti, un’assegnazione alla Cina, dove i diritti umani non sono sempre rispettati, o al Qatar, sarebbe soppesata con maggior attenzione rispetto a quanto successo finora».

E magari non vedremo più quell’abbraccio – che oggi suona così stridente – fra Putin e Infantino, presidente Fifa, ai Mondiali di Russia 2018: «Putin fa politica con questi mezzi e noi non dobbiamo assecondarli. Ricordo di aver conosciuto il leader russo nel 2001 a Sankt Anton, in Austria, ai Mondiali di sci. Noi, come Torino 2006, eravamo già in fase di comitato organizzatore e l’amico ed ex sciatore Pirmin Zurbriggen mi dice che c’era un signore che voleva venire a sciare con noi. Era Putin che desiderava parlarmi per sapere come proporre al meglio la candidatura di Sochi per i Giochi del 2014. Pochi mesi dopo, eravamo a Mosca con l’avvocato Agnelli per il passaggio di testimone del Cio da Juan Antonio Samaranch a Jacques Rogge: Putin ci invitò al Cremlino fra grande sfarzo e alti dirigenti di Stato e ci ricordò quella sciata. Come pure non mancò di farmene menzione quando lo rividi nel 2018 ai Mondiali, e aggiunse: “Io riesco sempre nei miei progetti”». Frase sinistra se fatta risuonare oggi perché quell’ex bambino bullizzato, che giocava a uccidere i topi nel cortile di casa, può arrivare a tutto e «noi abbiamo appreso per sempre / che il sangue sa solo di sangue» (Anna Achmatova, La corsa del tempo).

Evelina Christillin, Walser della Valle di Gressoney, nata nel 1956 quando i tank sovietici entravano a Budapest per soffocare libertà e futuro, ha fatto cose e ha visto gente ben prima del 20 giugno 1999 quando si ritrovò sulla prima pagina del quotidiano più importante del mondo. Il 19 giugno, a Seul, il Comitato olimpico internazionale aveva preferito un po’ a sorpresa Torino a Sion per l’organizzazione della XX Olimpiade invernale: «Tutto – ricorda – era iniziato 15 mesi prima. Ero una ricercatrice di Storia moderna all’Università di Torino, ero stata atleta nella Nazionale azzurra di sci e mi avevano messo a fare il presidente del comitato promotore di Torino 2006 perché non lo voleva fare nessuno. Ero un’incosciente totale, potevo permettermi di fallire perché non avrebbe cambiato nulla nella mia modesta carriera. L’avvocato Agnelli mi fissò un incontro con il presidente del Cio Samaranch: parlammo in francese, soprattutto di calcio con lui tifosissimo del Barcellona, io non sapevo nulla del Cio, solo quattro frasi appiccicate e, quando tornai a Torino, l’Avvocato mi disse “hai fatto una pessima figura” (imita alla perfezione l’inconfondibile tono di voce). Era uno scherzo, l’ennesimo suo, e si partì».

Fino alle notti magiche di Torino 2006, le premiazioni in piazza Castello, la città stretta in un abbraccio ad atleti e medaglie, fra molti successi e qualche errore. «Ora che le bandiere olimpica e paralimpica sono tornate in Italia mi sento di suggerire a Milano e Cortina di coinvolgere al meglio il territorio: le valli olimpiche di Torino 2006, che hanno spalancato le porte ai cinque cerchi, sono le stesse delle proteste No Tav. Parlare, spiegare ai cittadini il lavoro che si sta facendo e poi, soprattutto, aver ben chiaro che cosa fare di infrastrutture e impianti una volta finita la manifestazione. La legacy, il lascito, come dimostra quanto accaduto - ahinoi - al Villaggio olimpico di Torino (una delle maggiori occupazioni abusive d’Europa terminata nel 2019, ndr), è quasi più importante della sbornia di quei 30 giorni con gli occhi del mondo addosso». Ricordi, burocrazia, la corsa olimpica è una maratona fatta di infiniti 100 metri da divorare a perdifiato e Christillin, nel ritornare a quei giorni magici per Torino e il Piemonte, sembra un’onda di Hokusai, travolgente nell’entusiasmo e fraterna nei consigli: «Gli errori più grandi dell’edizione 2006 sono stati la costruzione della pista da bob e di quella del salto: due buchi nell’acqua, due cattedrali nel deserto. Impianti cari, ancor più costosi da gestire. La bussola da considerare – e nel 2022 è più facile parlarne – è la sostenibilità, è scegliere impianti che siano smontabili e riutilizzabili. Oggi si può nel rispetto dell’ambiente e del budget».

Quel budget traballante con il quale fa i conti anche il calcio, preso in contropiede dal Covid, ma il male è antico: «Il conto economico 2019 dei 12 club uniti nel progetto della Superlega presentava un passivo importante di 750 milioni di euro. Se continua la divaricazione fra ricavi e costi, che fanno riferimento perlopiù agli stipendi dei calciatori e alle commissioni dei procuratori, sarà impossibile per il pallone continentale essere sostenibile, a meno che non ci sia un accordo collettivo fra tutti gli stakeholder del sistema-calcio per “raffreddare” stipendi e commissioni». Bilanci a parte, però, lo sport rimane ispirazione e la presidente prova a indicare due totem: «Dino Zoff è una persona meravigliosa che non ha mai perso la testa, campione sul campo e nella vita, una bandiera di dignità, e poi Bebe Vio ha qualcosa da insegnare a tutti: il suo coraggio, la sua autoironia sono forza al di là di ogni parola e di ogni tempo». Poi, certo per vincere medaglie e trofei serve anche grande sacrificio: «I miei anni nella Nazionale di sci sono stati scuola di vita, rinunce, allenamenti, pochi amici, le gare da una parte all’altra dell’Italia, fino in Austria e Svizzera, con le tre sacche degli sci sulle spalle. Avevo solo 14 anni e, con la mia inseparabile compagna Claudia Giordani, avevamo l’autonomia di ragazze ormai grandi e sapevamo che si perde molto più di quanto si vinca, ma che questa verità non è una ragione sufficiente per smettere di allenarsi o per non crederci. Soprattutto negli sport individuali vince solo uno ma non è buon motivo per piantar lì».

Evelina Christillin trova il tempo anche per fare la nonna e accompagna qualche volta i nipotini Bianca e Ruggero (Gregorio è ancora troppo piccolo) alle gare dello sci club Sestriere: «La loro passione per lo sport è commovente, è pura; lo show business domina lo sport, ma tutto inizia da quella gioia e, quando li guardo, spero diventino cittadini del mondo curiosi e pieni di umanità». La stessa che troviamo in uno dei pannelli della mostra Aida, figlia di due mondi in corso fino al 5 giugno proprio al Museo Egizio. Scriveva Victor Hugo in una guida di Parigi del 1867: «Questa nazione avrà per capitale Parigi, ma non si chiamerà Francia; essa si chiamerà Europa. Si chiamerà Europa nel XX secolo ma, nei secoli seguenti, più trasfigurata ancora, essa si chiamerà Umanità». Già, l’Umanità, quella martoriata di Mariupol e Bucha che grida «pace».

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