Ex Ilva, per ora l’assetto non cambia. Mittal resta in maggioranza, sindacati critici su accordo di programma
L'assetto della governance in Acciaierie d'Italia, ex Ilva, resta per ora così com'è, col privato Mittal al 62 per cento e la società pubblica Invitalia al 38
di Domenico Palmiotti
4' di lettura
Sembrava, sino a poco tempo fa, che dovesse essere la novità, la svolta, la caldeggiavano sindacati e istituzioni, e invece l'assetto della governance in Acciaierie d'Italia, ex Ilva, resta per ora così com'è, col privato Mittal al 62 per cento e la società pubblica Invitalia al 38. Al termine del confronto del 19 gennaio con azienda, sindacati, istituzioni territoriali e Confindustria, il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, é stato chiaro: la data del riassetto resta nel 2024. In sostanza, la possibilità del cambio esiste, la introduce il decreto relativo alle misure urgenti per i siti strategici nazionali, n. 2 del 2023 ora in esame al Senato, ma non è così immediata come avrebbero voluto sindacati e istituzioni.
Un punto negativo soprattutto per Fiom Cgil, Uilm e Usb, che sul cambio della governance nell'ex Ilva, hanno focalizzato la protesta, fatto una prima manifestazione a Roma l'11 gennaio, quando hanno incontrato parlamentari e commissione Ambiente della Camera, indetto lo sciopero del 19 gennaio a Taranto e portato nello stesso giorno alcune centinaia di lavoratori a Roma in presidio sotto il Mimit mentre era in corso il vertice da Urso. Ma anche la Fim Cisl, che pure ritiene necessario cambiare l'assetto societario, anche se non lo indica come prioritario al pari delle altre sigle metalmeccaniche, è critica sugli esiti del vertice, soprattutto perché ritiene non chiaro lo scenario in cui, da ora in poi, l'ex Ilva si muoverà.
Ripristinato il circolante necessario ad azienda
Secondo fonti presenti al tavolo ministeriale, a frenare Urso, che per primo aveva parlato di riequilibrio della governance, sarebbe stato il fatto che se lo Stato dovesse passare ora al 60 per cento in Acciaierie d'Italia, utilizzando sul versante del capitale il miliardo dato a Invitalia, poi si sarebbe dovuto far carico, nella corrispondente quota proporzionale, anche di tutto il resto, investimenti compresi. E questo avrebbe avuto un costo notevole, per cui, dicono le fonti, anche il Mef avrebbe frenato. Cosicchè é rimasta la via del finanziamento soci. E Urso lo ha spiegato così, parlando di «finanziamento importante che dovrà servire anche a creare quel circolante necessario al rilancio produttivo del sito con una formula che ci consente in ogni momento, eventualmente, di trasformare quelle finanze in azioni».
Morselli: usciamo dalla fragilità finanziaria
Per l'ad Morselli, «ad inizio agosto scorso il ministro Giorgetti ha riconosciuto che l'azienda era finanziariamente fragile. Grazie al ministro Urso, arriviamo all'uscita dalla condizione di fragilità. Noi abbiamo un ciclo di cassa di sei mesi. Prima di incassare passano sei mesi e noi dobbiamo solo pagare in quel mentre. Adesso possiamo accedere ai mercati finanziari. Servirebbero due miliardi di circolante in un mondo ideale, ma possiamo farcela».
Tra un mese si saprà dell'accordo di programma
La novità che emerge, invece, è l'accordo di programma per l'area di Taranto. Urso ne specificherà i contenuti nel prossimo incontro al Mimit tra un mese. Dovrebbe tenere insieme rilancio produttivo, ripresa della fabbrica e nuovi investimenti per l'area di Taranto, con un occhio rivolto a forni elettrici e preridotto che sono la prospettiva del futuro, visto che il presidente di Acciaierie d'Italia, Franco Bernabè, ha annunciato nel vertice che per il Dri, il preridotto di ferro in alternativa alla carica di minerali, «a giugno si prenderà la decisione sull'investimento». «L'impianto - ha spiegato - sarà diviso in due moduli, uno fornirà Dri ad Acciaierie d'Italia e l'altro servirà al mercato interno. La costruzione dell'impianto comincerà nel secondo semestre». Inoltre, ha aggiunto Bernabè, «partirà presto l'impianto Hydra, un modello che produce acciaio verde in scala ridotta». Effettuerà «una piccola produzione per testare le peculiarità connesse alla realizzazione di un impianto vero e proprio». Invece, per la parte relativa ad Acciaierie d'Italia, assunti gli impegni di avviare, a novembre prossimo, il rifacimento dell'altoforno 5, spento dal 2015, il più grande d'Europa, investire sulla centrale elettrica, produrre 4 milioni di tonnellate di acciaio quest'anno e 5 il prossimo.
I nuovi progetti all'orizzonte
Gli investimenti extra-acciaio, tutti da precisare, riguardano invece un rigassificatore galleggiante («Siamo già a un terzo dei lavori in collaborazione con degli operatori e dal prossimo anno termico contiamo di avere accesso diretto ai produttori di gas», ha annunciato Morselli), l'economia circolare, utilizzando la loppa, sottoprodotto di altoforno, per i cementifici, un accordo con Falck Renewables, la società che insieme a BlueFloat Energy intende costruire due parchi eolici galleggianti al largo di Brindisi e del Salento («noi diamo loro l'acciaio e loro daranno a noi energia rinnovabile»), infine la dissalazione dell'acqua per le finalità produttive dell'acciaio, con un impianto off-shore.
Accordo di programma, il sì del sindaco di Taranto
Il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, del Pd, ha fatto un'apertura di credito al Governo soprattutto per l'accordo di programma. «Noi siamo fiduciosi, continuiamo a collaborare con questo Governo e siamo convinti che l'accordo di programma che chiedevamo dal 2018 di diverso Governi che si sono succeduti, veramente possa essere la chiave di volta per il futuro di Taranto», ha commentato Melucci, che ha chiesto che «il nuovo piano industriale sia ancorato alla valutazione del danno sanitario».
Dai sindacati, invece, paure e dubbi che l'accordo di programma possa portare più che altro lo smantellamento dell'area a caldo a Taranto, che per loro vuol dire chiusura della fabbrica e netto ridimensionamento occupazionale. Quasi inaspettato per i sindacati il discorso dell'accordo di programma, visto che il vertice al Mimit era stato caricato di altre aspettative. Ma l'ad Morselli ha smentito la fine dell'area a caldo. «L'area a caldo resterà anche con la decarbonizzazione - ha dichiarato l'ad -. La conversione a forno elettrico non significa che sparisce l'area a caldo. L'area a caldo resterà», ma «sarà diversa perché elettrica».
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