«Fermerò i cervelli in fuga, la ricerca si fa qui»
Laureata in ingegneria è la prima donna a guidare il Politecnico di Milano
di Sara Deganello
3' di lettura
Antonella Sciuto è la rettrice del Politecnico di Milano dal 1° gennaio, prima donna per l’ateneo fondato nel 1863 e prima candidata a ricevere una maggioranza assoluta nel corso delle votazioni. «Lo vivo con grande orgoglio e grande senso di responsabilità», racconta. Laureata in ingegneria elettronica, già docente di Sistemi di Elaborazione delle informazioni e prorettore dal 2010, si appresta a iniziare il suo ufficio sotto il segno di valorizzazione, inclusione, sostenibilità.
Quali sono le tappe che l’hanno portata qui?
Mio padre era ingegnere, mia madre si occupava di diritti umani: lavoravano per la Commissione europea. Sono nata a Varese dove mio padre era venuto per l’Euratom, a Ispra. Ho vissuto tra lì e Bruxelles. Sono arrivata a Milano per studiare al Politecnico, poi ho fatto un dottorato negli Usa all’università del Colorado. Sono tornata per portare quello che avevo imparato. Poi nel 2010, una nuova sfida: il professor Giovanni Azzone si è candidato e mi ha chiesto di lavorare con lui. Io facevo molta ricerca, lavoravo con aziende americane, su progetti europei, molto all’estero. È stato un cambiamento di vita. Se non fosse stato per lui, probabilmente non ci avrei mai pensato. Ma da lì ho imparato e ho continuato a lavorare con Ferruccio Resta. Poi l’estate scorsa ci ho pensato bene: avevo ancora voglia di servire il Politecnico, ancora idee, opportunità di miglioramento e di sviluppo. Ho scelto di provarci.
Quali sono i temi, le priorità del suo rettorato?
Il primo è continuare a sviluppare il talento dei giovani, per fare in modo che riescano a fare ricerca in Italia. L’altro è lavorare sui temi dello sviluppo sostenibile e quindi anche dell’inclusione. Per mettere la tecnologia al servizio di soluzioni che siano sostenibili dal punto di vista sociale, ambientale, di governance. L’Italia spende poco in ricerca rispetto anche ad altri Paesi europei e spende poco per l’educazioni universitaria. Dal fondo di finanziamento ordinario riceviamo 5mila euro per studente, in Svizzera è il doppio. Adesso ci sono i fondi del Pnrr, per tre anni: stiamo parlando di almeno 200 milioni, compresi i partenariati. E poi?
E il rapporto con le aziende?
L’ateneo nasce per volontà degli industriali milanesi: ce l’abbiamo nel Dna e il loro contributo è cresciuto nel tempo. Negli ultimi sei anni abbiamo cercato di mettere a sistema l’idea di creare relazioni più strette, di medio lungo termine: l’abbiamo chiamato Joint Research Center. Oggi collaboriamo in questo modo con più di 60 aziende, che sono disponibili a mettere fondi quando ci sono opportunità di sviluppo, di innovazione. Eni, Luxottica, STMicroelectronics, per fare qualche nome.
Monitorate anche l’ingresso nel mondo del lavoro?
Sì e per ingegneria in questo momento non riusciamo a gestire la domanda delle aziende in tante aree, dall’informatica all’ingegneria civile. Servirebbe almeno il doppio degli ingegneri.
Come è cambiata la presenza femminile nell’ateneo?
Purtroppo il numero di ragazze presenti non è cambiato molto negli ultimi anni, da quando abbiamo cominciato nel 2016 il progetto Pop (Pari Opportunità Politecniche). La media, a ingegneria, è di un quarto degli studenti. Purtroppo questo è un cambiamento culturale che va fatto. Noi cerchiamo di attrarre sempre di più ragazze, per far capire che ingegneria non è una disciplina solo maschile. Cerchiamo di smitizzare alcuni pregiudizi, magari anche inconsapevoli, loro e delle famiglie. Per far capire che è qualcosa che consente di avere un impatto positivo sulla società: un fattore che spesso porta le ragazze a scegliere la materia da studiare. Il progetto Pop guarda a un’inclusione più ampia. Comprende anche il disagio psicologico: avevamo già messo in piedi un servizio di supporto gratuito per gli studenti. I numeri sono esplosi con il Covid: 2mila persone ora, prima 500. Il Politecnico ha 48mila studenti, poco più di seimila internazionali, ed è cresciuto di un migliaio negli ultimi anni.
Che sfide vede per il futuro?
Di difficile non vedo niente. L’importante è essere pronti al cambiamento, agili e veloci per sfruttare le opportunità. Sicuramente di difficile c’è il fatto che abbiamo spazi limitati: è complicato riuscire a lavorare aumentando il numero di ragazzi e ricercatori. C’è lo sviluppo nell’area Bovisa-Goccia a Milano, che ha dimensione didattica e di residenza per gli studenti. Abbiamo un avanzo di bilancio di circa 20 milioni ogni anno che ci permette di finanziare nuove progettualità, sia legate all’edilizia, a infrastrutture di ricerca, ad azioni diverse. Il progetto Pop è nato con uno stanziamento di 5 milioni per tre anni.
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