“Babylon”, la golden age di Hollywood in un film debordante e sfrenato
Arriva nelle sale il nuovo lungometraggio di Damien Chazelle con protagonisti Margot Robbie e Brad Pitt
di Andrea Chimento
3' di lettura
Quando il cinema parla di se stesso: sono molti i film usciti negli ultimi tempi che ragionano sul potere della Settima arte. Da “Gli orsi non esistono” di Jafar Panahi a “The Fabelmans” di Steven Spielberg, solo per citare due tra i titoli migliori visti sul grande schermo recentemente, questa tendenza trova un nuovo esempio in uno dei film più attesi dell'intera stagione: “Babylon” di Damien Chazelle, arrivato questa settimana nelle nostre sale dopo una debole accoglienza avuta in patria.
Il regista di “Whiplash” e “La La Land” ha diretto quello che è indubbiamente il film più ambizioso della sua carriera: siamo a Hollywood nel 1926, un anno prima che l'avvento del cinema parlato porti un cambiamento epocale. Nellie e Manny sono due giovani sognatori che cercano fortuna all'interno della Mecca del cinema, provando a intrufolarsi a feste esclusive che hanno tra i massimi protagonisti Jack Conrad, una vera e propria stella dell'industria cinematografica.Correva l'anno 1959 quando il regista sperimentale Kenneth Anger fece pubblicare un libro fondamentale, intitolato “Hollywood Babilonia”, incentrato sugli scandali e il lato più oscuro e inquietante di quella fabbrica di sogni che risponde al nome di Hollywood.Da quella definizione e da queste premesse si muove un film incentrato su sesso, droga, feste sfrenate, ma anche su un profondo senso di malinconia per un mondo (quello relativo al cinema muto) crollato improvvisamente.
Cantando sotto la pioggia e… non solo
La dissacrazione dell'universo di Hollywood non è certo una novità ed è uno dei limiti di un copione non troppo originale e purtroppo incapace di dare scandalo e creare shock, malgrado gli sforzi che fa fin dall'inizio.Nonostante questo, la messinscena sfarzosa e i sinuosi movimenti della cinepresa danno vita a un affascinante concerto audiovisivo che conferma il talento del suo regista, ma anche una certa spocchia autoriale che emerge in più di un passaggio.La supponenza, però, si va a bilanciare con un enorme coraggio nel firmare un prodotto davvero ambizioso, debordante e lontano dai canoni abituali del cinema contemporaneo: lo sguardo di Chazelle è di quelli che puntano in altissimo e, forse anche per questo, non mancano cadute ma anche slanci improvvisi.I riferimenti a un vero capolavoro come “Cantando sotto la pioggia” sono innumerevoli ed espliciti (quel film del 1952, anno in cui si conclude “Babylon”, è la più intelligente e divertente possibile riflessione sul passaggio dal muto al sonoro), ma il gioco con la storia del cinema si fa ancora più stratificato e incontenibile in una conclusione che sembra una sorta di “cura Ludovico” (citando “Arancia meccanica” di Kubrick) in chiave storico-cinematografico. Un'esperienza da fare e da vivere, nonostante tutto.
La ligne
Tra le pellicole da vedere in uscita questa settimana una menzione speciale la merita “La ligne”, film di Ursula Meier presentato in concorso al Festival di Berlino 2022.Al centro della vicenda il rapporto conflittuale tra Christina, una pianista che ha abbandonato la carriera di solista per dedicarsi alle tre figlie, e la primogenita Margaret, giovane talentuosa ma emotivamente instabile, costretta dal giudice a restare a cento metri di distanza dalla casa di famiglia per il suo comportamento aggressivo. Basta la prima, splendida e durissima sequenza di questo film per rendersi conto di trovarsi di fronte a un'operazione di grande spessore cinematografico e concettuale.Coinvolgente e capace di far riflettere sui rapporti famigliari con grande forza drammaturgica, “La ligne” è un film di forte attualità, ben girato e ben interpretato da un cast in cui svetta Valeria Bruni Tedeschi nei panni della madre.Qualche passaggio a vuoto nella sceneggiatura e alcune sequenze meno efficaci di altre non intaccano il valido risultato finale. Nota per aver diretto “Home” e “Sister”, Ursula Meier si conferma così con questo film una delle autrici più incisive del cinema europeo contemporaneo.
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