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Dopo il lancio avvenuto nel 2018, per il piano Industria 4.0 (nel frattempo diventato Transizione 4.0) si inizia a pensare a un tagliando. I semi del programma di incentivazione degli investimenti delle imprese per la digitalizzazione risalgono al governo Monti (Corrado Passera ministro dello Sviluppo economico). Era poco più di un’idea all’epoca, messa poi in atto con la gestione ministeriale di Carlo Calenda. Il piano è indietreggiato nelle priorità di politica industriale durante il ministero targato Luigi Di Maio (primo Governo Conte), è stato rinnovato (anche nel nome) con Stefano Patuanelli (secondo Governo Conte) e ora - ministro Giancarlo Giorgetti - sembra vivere una fase
di passaggio.
La prossima legge di bilancio potrebbe essere lo snodo per aggiornare profondamente la platea degli investimenti agevolabili con i crediti d’imposta, virando significativamente verso le spese in ambito energetico. L’idea, che non si è concretizzata nei recenti decreti legge approvati dal consiglio dei ministri e sembra rinviata appunto alla prossima manovra, è premiare in modo più rilevante gli interventi in cui la trasformazione digitale si accompagna alla transizione ecologica ed energetica delle imprese.
Contemporaneamente potrebbe essere attribuito un peso maggiore ai progetti che fanno perno sulla gestione dei dati attraverso la cosiddetta “nuvola digitale”, il cloud, e sui sistemi di intelligenza artificiale.
Il governo Draghi, che ha comunque pesantemente puntato sulle tecnologie 4.0 anche con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (13,5 i miliardi assegnati a questo capitolo), ha iniziato a valutare possibili cambiamenti anche alla luce dell’effettivo utilizzo da parte delle imprese. Un’analisi specifica di scenario è stata affidata a un comitato di valutazione composto da rappresentati del ministero dell’Economia, di Banca d’Italia e del ministero dello Sviluppo economico.
Se un ampio riassetto richiede ancora dei tempi di elaborazione, alcuni interventi di manutenzione hanno già trovato posto nei recenti provvedimenti. Nell’ultimo “decreto aiuti” varato dal consiglio dei ministri si è iniziato a ritoccare alcune aliquote del beneficio fiscale: sui software innovativi e sulla formazione. In particolare, il credito d’imposta per i beni immateriali 4.0 (i software) è stato incrementato dal 20 al 50 per cento.
L’incentivo per l’attività di formazione legate alle tecnologie 4.0, invece, è stato innalzato per le micro-piccole e per le medie imprese, nel primo caso passando dal 50 al 70% (il limite massimo annuale resta a 300mila euro), nel secondo caso dal 40 al 50% (sempre fino a 250mila euro). La scelta dei tecnici dello Sviluppo economico è stata invece di lasciare immutato il beneficio per le grandi imprese, sempre al 30% con limite a 250mila euro. Tuttavia, se vogliono accedere al nuovo e più generoso incentivo, le Piccole e medie imprese dovranno accettare criteri
più selettivi.
La novità è infatti l’obbligo di ricorrere ad attività di formazione fornite da soggetti individuati con decreto del ministero dello Sviluppo economico da adottare entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge. Inoltre, i risultati relativi all’acquisizione o al consolidamento delle competenze nelle materie 4.0 dovranno essere certificati secondo le modalità dello stesso decreto attuativo.
Per i progetti di formazione avviati dopo l’entrata in vigore del decreto legge che non soddisfano queste condizioni, il credito d’imposta sarà comunque usufruibile ma con un beneficio più basso: 40% per le piccole imprese e 35% per le medie.
Una delle prncipali carenze segnalate dalle imprese, infatti, è la difficoltà a reperire tecnici specializzati nel campo digitale e dell’analisi dei dati.
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