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Fra great resignation, post Covid e nuovi leader: così le professioni nel 2023

Il manager sarà orientato a una leadership inclusiva e orientata al modello “leading by example”: centrali flessibilità e capacità di adattamento

di Gianni Rusconi

(REUTERS)

4' di lettura

La difficoltà di reperire personale specializzato è un problema serio. Assunto all’apparenza banale ma che in questa fase storica assolutamente non lo è, e i responsabili delle risorse umane lo sanno molto bene. C’è, soprattutto, un problema di disequilibrio: molte organizzazioni sono state costrette ad assumere nuovi dipendenti offrendo loro stipendi più alti e benefit maggiori rispetto alla forza lavoro esistente, che nella maggior parte dei casi può esibire una maggiore esperienza a parità di ruolo.

Il gap a livello di offerta di figure professionali si porta dietro una seconda conseguenza, e cioè il malcontento dei talenti (o comunque dei profili con competenze consolidate) che sono già una risorsa dell’azienda, stimolandone l’attenzione verso proposte migliori in termini di compensation & benefit. Di questo tema e dei trend che caratterizzano il mondo del lavoro nei prossimi dodici mesi abbiamo parlato con Davide Maccagni, Country Director per l'Italia di Robert Walters Group, una multinazionale inglese attiva da oltre 30 anni nel mercato globale del recruitment e da poco sbarcata anche in Italia.

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Proviamo a “fare le carte” al 2023 del mercato del lavoro, le professioni più richieste, quelle in flessione di domanda, il trend delle retribuzioni…
Abbiamo riscontrato una tendenza generale piuttosto in crescita nel 2022 per una vasta scala di posizioni e settori, aspettandoci una riconferma per il primo e secondo trimestre di quest'anno. Prevediamo, pertanto, un trend piuttosto costante di richieste nel mondo della technology, per altro già in fase di forte domanda, e in particolar modo nell’ambito dello sviluppo software e della Business Intelligence. Altro settore interessante sarà quello dell’energia, per motivi legati all’economia attuale e al grande investimento che sta accompagnando le imprese nel mondo delle rinnovabili, dove saranno molto richieste sia posizioni legate allo sviluppo ingegneristico degli impianti sia quelle nell’area del business development. Parliamo, in generale, della necessità di alcune competenze chiave per accedere a nuove opportunità di impiego, quali l’internazionalizzazione del profilo con la conoscenza delle lingue, un forte orientamento alle nuove tecnologie e la capacità di analizzare e interpretare dati.

Le aziende devono essere più attrattive per i talenti, i millennials puntano sul work life balance: come cambia il lavoro di chi fa recruiting in azienda?
Credo sia doverosa una precisazione: non è necessariamente vero che i millenials prediligano il work-life balance alla carriera, semplicemente è cambiata la modalità in cui ci si aspetta di poter far carriera all’interno di un’azienda moderna. Oggi tutti hanno preso coscienza, manager in forte ascesa carrieristica compresi, di quanto sia prezioso prendersi cura anche di sé e della propria sfera privata. Questo è stato il principale risvolto psicologico della pandemia. E chi fa recruiting deve sicuramente tenere in considerazione questo fattore nella fase di valutazione di un candidato.

Il fenomeno della great resignation ha un colpevole o semplicemente lo specchio di una società che sta cambiando?
È un fenomeno che non ha un principale colpevole, ma testimonia l’evoluzione del mercato del lavoro e delle aspettative delle persone, soprattutto quelle di talento. Certamente esiste oggi un importante numero di aziende che per impedimenti legati al settore di attività o per propria scelta, può cogliere meno i nuovi elementi che emergono da questo cambiamento e ciò ha accelerato, e sta accelerando tutt’ora, il numero di uscite. L’esempio è lo smart working per società che, per la natura del loro business, hanno bisogno di un presidio fisico, come i contesti produttivi, i grandi impianti o le società di retail dove è necessaria la presenza in negozio.

Quale tipo di manager sarà più richiesto nel contesto post pandemico e post crisi e con quali compiti?
Da un punto di vista delle competenze, il manager di oggi è sicuramente una figura in grado di saper leggere il business attraverso i dati e attraverso la conoscenza delle persone gestite. È molto importante la capacità di vedere la propria business unit di riferimento non solo come area di competenza/influenza, ma soprattutto come parte di un disegno strategico più esteso che è l’organizzazione. Saper interpretare la propria organizzazione, infatti, permette di incidere in modo efficace sulle decisioni e di scegliere le strategie da intraprendere, in termini di innovazione, sviluppo, ridimensionamento, formazione e via dicendo. Il manager sarà sempre più orientato a una leadership inclusiva e orientata al modello “leading by example”. Per aziende e manager, il grande tema sarà la flessibilità e la capacità di adattamento veloce.

Come evolverà secondo lei la questione dello smart working?
Credo che ogni azienda dovrà e potrà farne uso secondo tempi e modalità opportune al proprio business model, agli equilibri interni tra diversi reparti o business unit, al livello di integrazione e socializzazione che richiede quello specifico gruppo di lavoro e, non ultimo, al tipo di business di riferimento o al momento specifico di business che l’impresa sta vivendo. Se tutti questi aspetti sono ben bilanciati, questo strumento diventa un incredibile acceleratore di performance e di well-being.

Pro e contro della settimana lavorativa di 4 giorni?
Alcune imprese stanno iniziando ad introdurla, per altre invece ci vorrà più tempo. Il fattore chiave è la gestione delle tempistiche rispetto al proprio mercato di riferimento. Lavorare 4 giorni a settimana porta le aziende a orientarsi sempre più verso un modello di efficienza ed efficacia nelle ore lavorate che non dovrebbe avere alcun impatto sulla produttività complessiva. Il mercato italiano, a mio parere, non ha però ancora la sufficiente maturità per poter applicare questo modello, se consideriamo l’altissima percentuale di Pmi che oggi faticherebbero a impostare l’organizzazione seguendo questo approccio. In alcune organizzazioni già mature e strutturate, invece, mi aspetto che possa diventare un modello che, come lo smart working, potrà dare certamente dei benefici.

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