Gli effetti sul voto di percezioni sbagliate
In politica, come nella vita, agiamo spesso sulla base di percezioni. Se il contesto politico è confuso, allora cresce la possibilità della “mala-percezione” (misperception) circa le conseguenze delle nostre scelte
di Sergio Fabbrini
4' di lettura
In politica, come nella vita, agiamo spesso sulla base di percezioni. Se il contesto politico è confuso, allora cresce la possibilità della “mala-percezione” (misperception) circa le conseguenze delle nostre scelte. Le prossime elezioni del 25 settembre corrono questo rischio. È possibile evitarlo?
La “mala-percezione” è possibile sia sul versante degli elettori che dei leader politici. La “mala-percezione” degli elettori è per molti versi fisiologica. Essi fanno scelte senza pensare alle loro conseguenze. Ad esempio, votano per abbassare le tasse, per poi scoprire che, di fronte ad una pandemia, il sistema sanitario pubblico è divenuto inefficiente e non può proteggerli. Votano contro l’immigrazione, per poi scoprire che, senza immigrati, molte delle loro attività economiche e commerciali non possono andare avanti. Votano per ridurre le diseguaglianze, per poi scoprire che, con il loro voto, hanno dato lavoro ai navigator ma hanno lasciato intatte le diseguaglianze.
La “mala-percezione” dei leader è invece patologica, in quanto essa può produrre conseguenze negative, talora irreversibili. Si pensi, ad esempio, al governo Conte I (2018-2019), il quale promise di liberare l'Italia dalle regole di bilancio europee, per poi portarla a sbattere contro un muro, al punto da dover essere rovesciato per farla ritornare all’interno di quelle regole. Oppure, si pensi ai leader conservatori britannici, i quali fecero una campagna per uscire dall’Ue nel 2016, così da avere più risorse da investire nel sistema sanitario nazionale, per poi dover prendere atto che, con Brexit, il sistema sanitario nazionale si è indebolito (e ancora di più il loro Paese). Se la “mala-percezione” degli elettori è giustificabile (anche se l’analfabetismo politico di molti di loro non lo è), di sicuro non è giustificabile quella dei leader politici. È loro compito collegare le proposte che fanno oggi con le conseguenze che si vedranno domani, chiarendo la direzione verso cui vogliono portare il Paese.
Generalmente, i partiti usano i programmi elettorali per collegare l’oggi con il domani. E così sta avvenendo anche per le elezioni del 25 settembre prossimo. Si stanno definendo i programmi delle alleanze elettorali che proporranno un candidato unico nei 221 seggi uninominali (tra Camera e Senato). Tuttavia, quei programmi continuano ad avere un limite “concettuale”. Essi si basano su una vecchia divisione (quella tra sinistra e destra) che è stata messa in discussione da una nuova divisione (quella tra europeismo e sovranismo). Invece di partire dalla seconda per definire la prima, si continua a fare il percorso inverso. Così, a destra, è stata costruita un’alleanza elettorale di partiti che, in Europa, sono su posizioni (molto) diverse. Nel Parlamento europeo, Fratelli d’Italia è con i Conservatori radicali (con il partito polacco al governo, il PiS, come gruppo più importante), la Lega è con i nazionalisti estremi (con i tedeschi dell'AfD e i francesi di Le Pen), Forza Italia è con i moderati del Partito popolare (con la Cdu tedesca come partito guida). È come se Ursula von der Leyen fosse sostenuta dal PiS, dall’Afd e dalla Cdu oppure una possibile (prossima) cancelliera tedesca venisse votata dall’AfD e dalla Cdu. Anche a sinistra vi sono incongruenze, seppure il suo core sia decisamente europeista. Infatti, essa si è alleata con frange minoritarie sovraniste, i cui riferimenti, nel Parlamento europeo, non hanno mai sostenuto, anzi contrastato, la “maggioranza Ursula” e i programmi da essa promossi, come Next Generation Eu (Ng-Eu) e il suo derivato (il Pnrr). Una bella confusione. Come uscirne?
Se la politica nazionale è talmente intrecciata con quella europea da dipendere da essa per risorse e capacità, allora non si può discutere della prima senza precisare la propria visione della seconda. In campo vi sono due visioni alternative, in mezzo a tanto chiacchiericcio. C'è la visione dell'Europa confederale, avanzata formalmente da Meloni e implicitamente condivisa da Salvini. Essa mira all’Europa delle Patrie in cui vengono preservate le sovranità nazionali. La confederazione renderebbe possibile, per Meloni-Salvini, perseguire la prospettiva di “Prima l’Italia”, poiché lo stato dovrebbe riacquisire il pieno controllo sulle proprie politiche pubbliche. Tuttavia, ciò implicherebbe uno smantellamento di programmi europei come NG-EU (e il relativo PNRR), il cui funzionamento è reso possibile dal ridimensionamento delle sovranità nazionali. La prospettiva confederale è chiara, ma lo sono anche le sue conseguenze? La seconda prospettiva è quella dell’Europa federale, avanzata da Letta e da Calenda. La trasformazione dell’Ue in una federazione è compatibile con il carattere sovranazionale di programmi europei come Ng-Eu (e relativo Pnrr). La federazione renderebbe possibile, per Letta-Calenda, perseguire la prospettiva di “Prima l’Europa”, in quanto ogni stato sarebbe tenuto alla solidarietà reciproca di fronte a sfide collettive. Tuttavia, oggi, quella solidarietà non è scontata, se è vero che, di fronte alle conseguenze inflazionistiche e recessive della guerra russa, essa è messa in discussione da alcuni governi e opinioni pubbliche nazionali. La prospettiva federale è chiara, ma lo sono anche le sue conseguenze?
Insomma, se si vuole evitare di ripetere l’esperienza italiana del 2018 o quella britannica del 2016, occorre che i leader politici agiscano per favorire la “buona-percezione”. Chi ambisce a sedere nel posto di guida, ha il dovere di spiegare ai passeggeri dove vuole portarli. Le elezioni non possono diventare una roulette russa.
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