Giù dal lettino n.20

Guerra, trauma e psicologia

Alla devastazione fisica e psichica della guerra si aggiunge il “tradimento” da parte di persone riconosciute come “vicini” o “fratelli”

di Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi

3' di lettura

Esce anche in Italia il libro di Joseph Henrich, antropologo “evoluzionista culturale” di Harvard, “WEIRD”, La mentalità occidentale e il futuro del mondo (il Saggiatore). Ne avevamo parlato l'anno scorso. È un saggio ambizioso, che promette di essere una pietra miliare del genere cosiddetto della “Big History”, come lo sono stati Sapiens di Harari o Armi, acciaio, malattie di Diamond. Libri che condensano in ponderosi volumi indagini sulla condizione umana condotte su orizzonti temporali-spaziali sconfinati. “WEIRD”, acronimo di “Western, Educated, Industrialised, Rich and Democratic” (Occidentali, Colti, Industrializzati, Ricchi e Democratici), un titolo difficile da rendere in italiano e risolto in modo brillante in una copertina “interattiva”, è un libro di psicologia, antropologia, economia e sociologia della società occidentale, che mette in luce le nostre peculiarità culturali e cognitive: la tendenza all'individualismo, la difficoltà a sviluppare fiducia nell'altro e senso di comunità e, in ultima analisi, l'ignoranza su tutto il resto del pianeta, ovvero sul restante 88% della popolazione mondiale.

“Guerra, religione e psicologia”

Un capitolo del libro è dedicato a “Guerra, religione e psicologia”. Henrich ci aiuta a capire meglio quello che James Hillman aveva definito, intitolando così un suo libro, Un terribile amore per la guerra, un saggio da rileggere in questi giorni tremendi. Se Hillman aveva analizzato il lato estetico-mitico dell'attrazione che spinge i popoli allo scontro bellico, “WEIRD” ci mostra il versante cognitivo e sociale del rapporto che l'uomo ha con la guerra. Dalla guerra civile in Sierra Leone, allo scontro tra famiglie nella Cina antica, alla Guerra dei Cent'anni in Europa, ogni conflitto ha tre “significati evolutivi” principali: tende a serrare i legami tra gli appartenenti alla stessa fazione (famiglia, clan, tribù, nazione), rafforza l'adesione alle norme sociali (inasprendo l'intolleranza verso chi le trasgredisce, o chi non le condivide), approfondisce la devozione religiosa. Lo possiamo osservare oggi nel conflitto tra Russia e Ucraina: le parole di Putin o del patriarca Kirill proiettano l'invasione sul piano dello “scontro di civiltà”, di un “mondo russo” da proteggere contro la minaccia di un Occidente corrotto. Da un punto di vista psicologico, questo meccanismo è catastrofico.

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Yurii Makarov

Lo ha spiegato Yurii Makarov, scrittore e giornalista, direttore della principale televisione ucraina, affermando che la spaccatura con la Russia è ormai insanabile. Negli ultimi decenni, la psicologia e la psichiatria si sono sempre più occupate degli effetti dei traumi sulle popolazioni: dalle ricerche sappiamo che esiste una differenza netta tra le esperienze traumatiche legate a catastrofi naturali (terremoti, tsunami, valanghe, ecc) e i traumi cosiddetti “man-made”, perpetrati per mano umana, come i traumi di guerra. E quando il perpetratore del trauma è una persona di cui la vittima “si fida” (pensate in tal senso agli abusi sessuali intra-familiari) le ferite diventano ancora più profonde. Le conseguenze dei traumi “man-made” sono più profonde: disturbi dissociativi, disregolazione degli impulsi, somatizzazioni, alterazioni nella sfera della personalità e dell'identità, autolesionismo, rischio di suicidio, elevata possibilità di sviluppare comportamenti abusanti, disturbi dell'attenzione e dello stato di coscienza, disturbi nei sistemi di attribuzione del significato e della percezione del sé.

Il “tradimento”

Alla devastazione fisica e psichica della guerra si aggiunge il “tradimento” da parte di persone riconosciute come “vicini” o “fratelli”. Molti ucraini hanno familiari in Russia, ma oggi, scrive Makarov, «i russi sono diventati nemici collettivi» degli ucraini. La perdita della fiducia nell'umano la raccontano, meglio delle parole, gli sguardi dei nostri colleghi psicoterapeuti ucraini, in questo video toccante a cura della Società Psicoanalitica Ucraina. In queste situazioni il “perdono”, segno di un'efficace elaborazione dei traumi, è estremamente difficile. Le ferite rimangono a lungo, così come l'odio e la rabbia. La prospettiva dello scontro di civiltà non fa che intensificare il rischio di disumanizzazione reciproca. Per questo motivo sono fondamentali tutte quelle iniziative che puntano a decostruirla, per esempio le coraggiose prese di posizione pubbliche di artisti russi come Kirill Savchenkov e Alexandra Sukhareva, che dovevano rappresentare la Russia alla Biennale di Venezia in Aprile, e si sono ritirati dall'evento scrivendo questo post: “Non può esserci spazio per l'arte quando i civili muoiono sotto le bombe, quando cittadini dell'Ucraina sono costretti nei rifugi, quando manifestanti russi vengono ridotti al silenzio”. Oppure la lettera aperta sottoscritta da più di seicento scienziati e giornalisti scientifici russi in cui prendono le distanze dal governo affermando: “La responsabilità di una nuova guerra in Europa è tutta della Russia. Non ci sono giustificazioni”.


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