Idroelettrico, allarme dighe: si rischia un altro anno nero
A gennaio condizioni peggiori rispetto allo scorso anno: manca il 70% di acqua accumulata nella neve. Nel 2022 produzione scesa del 40%
di Sara Deganello
I punti chiave
3' di lettura
Si rischia un altro 2022, quando per il lungo periodo di siccità la produzione idroelettrica in Italia è scesa del 37,7%, come certifica l’ultima rilevazione di Terna. Manca la neve: a gennaio la situazione è stata peggiore rispetto allo scorso anno.
In generale, la produzione italiana di energia nel 2022 si è attestata a 276,4 miliardi di kWh, in diminuzione dell’1,3% rispetto al 2021, con le fonti fotovoltaiche (+11,8%) e termoelettriche (+6,1%) in crescita e, accanto al buco lasciato dall’idroelettrico, l’energia da eolico (-1,8%) e geotermico (-1,6%) hanno registrato una leggera contrazione.
Manca il 70% dell’acqua nella neve
I numeri sono validati da Elettricità Futura, l’associazione confindustriale delle imprese che rappresentano il 70% del mercato elettrico italiano: nel 2022 della siccità da record, la più grave degli ultimi 70 anni, in cui le piogge sono diminuite del 46% rispetto alla media degli ultimi trent’anni, la produzione idroelettrica si è quasi dimezzata rispetto alla produzione storica del comparto. E il 2023 è iniziato peggio in termini di siccità: manca circa il 70% dell’acqua accumulata nella neve, un deficit maggiore rispetto all’anno scorso.
Neve sotto le medie storiche
Gli operatori del settore confermano lo scenario, seppur con le specificità legate ai diversi territori di attività. «Il 2022 è stato un anno sorprendentemente negativo, con volumi di produzione abbondantemente sotto il 30% delle medie storiche», racconta Lorenzo Giussani, direttore Generazione & Trading del gruppo A2A. «Purtroppo anche la produzione di questo gennaio, tipicamente un mese importante, è stata sensibilmente più bassa della media e persino dei valori dell’anno scorso. Per quanto riguarda due indicatori importanti, che sono l’energia invasata nei serbatoi, cioè quanto sono piene le dighe, e la quantità di neve che si scioglierà trasformandosi poi in produzione, possiamo dire che nelle quattro grandi aree dove operiamo – Valtellina, Valchiavenna, Calabria e Friuli-Venezia Giulia – l’acqua invasata nei nostri bacini è in linea con le medie storiche, anche se in sofferenza in Calabria».
«Il dato preoccupante è sulla neve: non ce n’è molta, è sotto le medie storiche di circa il 30%. Lo stock di energia potenziale è quindi più basso. Questo ha possibili implicazioni non solo sul mondo idroelettrico. Nei territori in cui operiamo in particolare si fanno ragionamenti in vista di una possibile stagione estiva idraulicamente critica. C’è da sottolineare anche che si utilizza l’acqua non solo per produrre energia idroelettrica, ma anche per raffreddare gli impianti termoelettrici: qualora ci si trovasse con bassi livelli dei fiumi per la scarsità di acqua, in generale, potrebbe esserci il rischio – seppur remoto – di standy by per alcuni impianti a gas. Un rischio che si eviterebbe se invece tornassero le precipitazioni», conclude Giussani.
Rinnovabili scendono al 35% della produzione
Giuseppe Argirò, amministratore delegato di Cva (Compagnia valdostana delle acque) spiega come il calo della produzione idroelettrica nel 2022 per l’azienda sia stato del 28%. E come le prospettive non siano delle migliori: «Con questo inverno mite, al momento la situazione è ancora più grave del 2022, che è stato l’anno peggiore degli ultimi 70. Il livello di snow water equivalent – di acqua contenuta nella neve – è inferiore a quello scorso anno. Ciò fa temere per la stagione estiva». Continua Argirò: «Siamo in una doppia emergenza: da una parte viviamo gli strascichi di uno shock energetico drammatico. Dall’altra abbiamo sotto gli occhi gli effetti del cambiamento climatico. Nel 2022, a causa del calo dell’idroelettrico, le rinnovabili sono passate dal 39-40% della produzione nazionale al 35%, pur con la crescita di fotovoltaico ed eolico».
Il nodo investimenti
«Le infrastrutture idriche risultano strategiche oggi a maggior ragione la per sicurezza energetica nazionale, per migliorare il mix energetico. È necessario potenziare gli impianti esistenti, l’80% dei quali ha in media 74 anni, e realizzare nuovi bacini per migliorare le condizioni di stoccaggio e creare grandi riserve d’acqua per mitigare l’impatto del cambiamento climatico», spiega Argirò.
In questo contesto, soprattutto sul fronte degli investimenti straordinari per il rilancio del comparto, che hanno bisogno di un tempo idoneo, il sistema delle concessioni per la gestione degli impianti, secondo Argirò, è un elemento di criticità: gli interventi rischiano di scontare l’incertezza legata a questo tipo di affidamenti che non ha un corrispettivo in Europa. «L’auspicio è che il governo prenda atto del nuovo scenario e attraverso interventi normativi sia in grado di rilanciare gli investimenti», conclude l’ad di Cva.
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