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Il 110% è indifendibile, ma vanno salvati imprese e cittadini

La “scellerata legge” del bonus 110 per cento accompagnato dallo sconto in fattura e cedibilità dei crediti di imposta è stata meritoriamente bloccata dal governo.

di GiovanniTria

4' di lettura

La “scellerata legge” del bonus 110 per cento accompagnato dallo sconto in fattura e cedibilità dei crediti di imposta è stata meritoriamente bloccata dal governo. Ora si tratta di provvedere rapidamente a salvare imprese e cittadini rimasti impigliati nel perverso meccanismo. Come quando si interrompe la somministrazione di una droga, si deve al contempo aver cura del processo di disintossicazione. Ma la storia non è ancora chiusa perché, anche tra coloro che plaudono al provvedimento, c’è chi dice “attenti a non buttare il bambino con l’acqua sporca”. Ciò vuol dire che non si è capito che non c’è alcun “bambino” da salvare e che c’è, semmai, da iniziare a buttare ancora molta acqua sporca accumulata dalla ormai quasi decennale politica dei bonus.

Chiariamo perché siamo così netti nel nostro giudizio. Una legge che ha consentito ai cittadini di spendere a totale carico dello Stato, senza neppure alcun incentivo a controllare la congruità e necessità della spesa stessa, è di per sé una legge truffa, al di là delle truffe scoperte dalla Guardia di finanza. È una truffa di cui lo Stato si è fatto complice a danno della generalità dei cittadini. Perché il peso che si è posto sul bilancio dello Stato può essere coperto solo in tre modi: debito pubblico (cioè della collettività) aggiuntivo, maggiori tasse che qualcuno deve o dovrà pagare, oppure una decurtazione di altre spese dello Stato, con danno di altri cittadini che ne avrebbero usufruito. Questo “buco” creato nel bilancio pubblico ha, quindi, avvantaggiato alcuni cittadini e alcune imprese ma è pagato o sarà pagato da tutti gli altri. Si tratta di una massiccia redistribuzione di reddito, per di più regressiva. Chi ha detto “spendete perché è tutto gratuito” ha detto quindi il falso e truffato i cittadini. Qualcuno paga, e come dice il vecchio detto “non esistono pasti gratis”. Ma dopo l’accusa, lasciamo pure la parola alla difesa.

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Prima linea di difesa: una parte di questa spesa pubblica rientra sotto forma di maggiori tasse perché aumenta il Pil. Questo è vero, ed è vero per qualunque spesa pubblica che rappresenti un reddito per qualcuno, non è una caratteristica particolare del bonus 110 per cento. È quindi corretto dire che si deve guardare alla spesa al “netto” delle maggiori entrate, ma ciò non significa affatto che in questo modo si ripaga. Non si ripaga né nel breve né nel medio-lungo periodo, perché la ristrutturazione di una villetta a spese dello Stato non è un investimento che porta ad aumentare la produttività o la competitività dell’economia italiana, ma solo una droga con effetti di domanda di breve periodo sul Pil, anche con effetti inflazionistici. Oltretutto, ciò avviene in un momento in cui si discute se consentire aiuti dello Stato a investimenti produttivi industriali e sul fatto che l’Italia ha meno spazi fiscali per farlo di Germania e Francia perché abbiamo un alto debito.

Seconda linea di difesa: il provvedimento non era scellerato perché ha contribuito in ogni caso a far aumentare il Pil e quindi ha contribuito alla ripresa economica. Vero nel breve periodo, ma qualunque massiccia spesa pubblica a debito fa aumentare il Pil nel breve periodo. Ciò non significa che si possa permettere ai cittadini di spendere tranquillamente, con lo stato che paga a debito a pie’ di lista, senza alcun limite se non quello posto dalla capacità dei cittadini stessi di organizzare questa spesa. Perché il debito qualcuno poi lo dovrà pagare, come chiarito sopra. Questa ovvietà ha come conseguenza l’effetto di preoccupare chi oggi sottoscrive il debito pubblico italiano, di contribuire in tal modo a mantenere tassi di interesse più elevati degli altri paesi europei (si chiama spread), e infine di creare incertezza nei cittadini per il futuro spingendoli a risparmiare di più. Tutto ciò deprime le aspettative di crescita. Se ciò non fosse vero perché dovremmo preoccuparci della crescita economica? Basterebbe che lo stato facesse debiti e finanziasse la spesa dei cittadini senza limiti (naturalmente fino a quando c’è qualcuno che sottoscrive il debito). Sappiamo che c’è chi la pensa proprio in questo modo. Qualcuno che ha letto male, ma molto male, Keynes.

Vorrei proporre anche un’altra linea di difesa. C’è effettivamente una logica nella scelta di destinare spesa pubblica alla ristrutturazione di proprietà private, che così aumentano di valore, invece che a ristrutturare e migliorare l’efficienza energetica di edifici pubblici come scuole, ospedali e tribunali, aumentando così il valore del patrimonio pubblico. La logica sta nel fatto che questa seconda spesa richiede molto tempo per concretizzarsi perché richiede appalti pubblici e l’azione della Pubblica amministrazione. Se invece si dice a un cittadino di ristrutturare la sua casa “gratuitamente” perché paga lo Stato, questo cittadino la sera stessa chiama un’impresa e il giorno dopo fa un contratto per far partire i lavori. Ma di nuovo ciò accadrebbe per tutti i tipi di “bonus” che si basano sul principio di incentivare la spesa privata. Però nel caso specifico del 110 per cento non si incentiva l’utilizzo di risparmi privati per aumentare la spesa privata, come avviene quando lo Stato partecipa parzialmente alla spesa stessa per attivare un’azione anticiclica, ma molto diversamente si finanzia totalmente la spesa privata senza intaccare il risparmio privato. Nella sua semplicità sembrerebbe “l’uovo di colombo” di una politica di ripresa economica, ma non lo è. Al contrario è un meccanismo insostenibile finanziariamente e sommamente ingiusto. Il provvedimento è infatti regressivo nel senso che avvantaggia principalmente la parte meno bisognosa della popolazione ed è a carico di tutti i cittadini, come già sottolineato, anche di quelli più poveri che, anche se non pagano molte tasse, avranno a disposizione, come conseguenza, meno servizi e aiuti pubblici. Il paradosso è che a varare questa spesa di tipo regressivo è stato un governo che si dichiarava di sinistra ma che non ha avuto il coraggio di dire che, non essendoci gratuità, la si sarebbe dovuta compensare con maggiori tasse, che sono appunto progressive. O forse l’idea era di farle pagare dopo. Magari per iniziativa di un altro governo. O forse si trattava solo di incompetenza.

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