Il carisma inverso, ovvero la capacità di attuare un “ascolto persuasivo”
I classici comunicatori si sforzano di sembrare più intelligenti, i grandi ascoltatori sono più interessati a far sentire intelligente la platea
di Giulio Xhaet *
4' di lettura
In una ricerca intitolata “Percezioni degli ascoltatori efficaci” è emerso un dato estremamente rilevante. Il 94% dei manager valutati come pessimi ascoltatori dai propri collaboratori si è valutato un buon ascoltatore, se non addirittura ottimo. Se usciamo dai contesti lavorativi la situazione non sembra migliorare. In un sondaggio 1/3 delle donne affermava che i propri animali domestici erano ascoltatori migliori del partner. E in media, i medici negli USA interrompono dopo undici secondi i loro pazienti che tentano di descrivere i loro sintomi.
Un bel paradosso: non è mai stato così importante ascoltare gli altri, e non siamo mai stati così poco inclini ad ascoltare. Non abbiamo mai avuto così tanti strumenti per ascoltare, e non li abbiamo mai usati in modo così superficiale. Certo, fioriscono libri, video ispirazionali e contenuti sui social che spiegano come ascoltare gli altri. Eppure, a ben vedere, è come se dentro i nuovi media fosse insita una scollatura di valore tra l’importanza del parlare e quella dell’ascoltare.
Un esempio lampante sono i messaggi vocali WhatsApp. Consentono a tutti di inviare odissee parlanti, trasformandoci in abominevoli podcaster. Per ovviare al proliferare dell’infobesità vocale, da un anno permettono di riprodurli a doppia velocità, depauperando l’ascolto. Una funzione del genere, lanciata negli anni '90 o nei primi 2000 sarebbe apparsa distopica e tragicomica allo stesso tempo. Oggi è attecchita, assurgendo alla norma. “Vi scrivo una lettera lunga perché non ho tempo di scriverne una breve”, diceva Voltaire, intendendo che per focalizzare e chiarire il proprio messaggio, serve tempo. Ma oggi non è un problema. Possiamo abbreviare il lungo messaggio, già poco chiaro, raddoppiandolo in velocità. Rendendolo così incomprensibile.
Tornando al paradosso di poc’anzi, perché lo stiamo vivendo? E come innescare qualche rimedio? Tipicamente, nel confronto con gli altri, il primo istinto è iniziare a parlare. Per persuadere, per consigliare, anche quando siamo mossi dal desiderio sincero di dare una mano. Eppure, i bravi coach lo sanno bene, il modo più efficace di persuadere è lasciar parlare. Ma ascoltare non basta: bisogna sviluppare un carisma inverso. Un’espressione che trovo bellissima, ideata dalla scrittrice e insegnante Wendy Moffat, per sintetizzare le capacità di ascolto persuasivo. Nell’ascolto influente non basta parlare meno e fare qualche domanda. Serve sviluppare altri elementi.
I cardini del carisma sono tre. Innanzitutto, dimostrare una curiosità sincera sulle motivazioni dell’interlocutore, sui “perché” lo spingono a parlare e magari confidarsi con voi. Poi, incoraggiare le persone a esplorare le loro opinioni più in profondità. Infine, suscitare nell’altro la sensazione di essere ascoltati con tale intensità da costringerlo a offrirvi la versione più onesta e aperta di sé stesso. Mentre i classici comunicatori (a partire da chi sfoggia un grande carisma tradizionale) si sforzano di sembrare più intelligenti, i grandi ascoltatori sono più interessati a far sentire intelligente la propria platea.
Se affermo che il mondo contemporaneo non ha mai avuto così poco bisogno di carisma tradizionale, e così tanto di carisma inverso, probabilmente affermo un’ovvietà su cui tutti, o quasi, ci troveremo d’accordo. E allora perché sulle forme di ascolto molti di noi rimangono semianalfabeti, e nel complesso tendiamo a peggiorare negli anni?
Il carisma inverso viene declinato al meglio nei cosiddetti colloqui motivazionali. Lo psicologo Adam Grant ne propone un esempio divertente nel saggio “Pensaci ancora”. Supponete di essere uno studente di Hogwarts preoccupato all’idea che vostro zio parteggi per Voldemort. Il modo migliore per indurlo a ripensarci? Tu: “Zio, mi piacerebbe capire. Perché pensi sia una buona idea parteggiare per Colui che non deve essere nominato?”. Zio: “Beh, è il mago più potente al mondo. Inoltre, i suoi seguaci hanno promesso grandi poteri alla nostra famiglia”. Tu: “Non è insensato. Ma c’è qualcosa che ti preoccupa di lui?”. Zio: “Mmm. L’idea di ammazzare tutta quella gente non mi fa impazzire”. Tu: “Che cosa ti impedisce di ripensarci?”. Zio: “Se devo dirla tutta, temo di poter diventare il prossimo della lista”. Tu: “Esiste in cuor tuo un principio così importante da farti correre questo rischio?”. Zio: “Ci dovrei riflettere…”.
Il colloquio motivazionale è utilizzato dai consulenti per preparare i team al cambiamento organizzativo, dagli insegnanti per spingere gli studenti a dormire tutta la notte, dagli allenatori sportivi per aumentare grinta e determinazione. Oltre che dagli operatori sanitari per aiutare le persone a smettere di fumare, abusare di droghe e alcool, giocare d’azzardo, superare i disturbi alimentari.
Secondo Grant: “Il colloquio motivazionale rivela un effetto statisticamente significativo sul cambiamento del comportamento, e psicologi e medici che ne fanno uso hanno una percentuale di successo di 4 volte su 5. Nel campo delle scienze comportamentali non sono molte le teorie pratiche a vantare un corpo di prove così solido”.
Negli ultimi mesi ho iniziato a inserire riflessioni ed esercizi sul carisma inverso nei corsi per alcune aziende. C’è un’obiezione che ogni tanto serpeggia: che il carisma inverso sia manipolatorio. La prima risposta è la differenza tra manipolazione e persuasione: se manipolo qualcuno nascondo i miei veri scopi e verso l’interlocutore, nel secondo sono trasparente. È una risposta che meriterebbe un approfondimento, e che forse riprenderemo. Nel mentre, buona inversione di carisma a tutti voi.
* Partner di Newton Spa
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