SOSTENIBILITÀ

Il futuro dei brand di lusso: promuovere un impatto positivo su ambiente e società

di Redazione

MycoWorks, la start-up californiana ideatrice di un pellame derivato da funghi, ha messo a punto Sylvania, una similpelle derivata dal materiale brevettato Reishi con cui verrà realizzata una versione più sostenibile della Victoria bag di Hermès. (credit MycoWorks)

3' di lettura

La corsa alla sostenibilità è iniziata già da qualche anno. Sono molte le aziende di diversi settori che hanno compreso come cogliere l'opportunità di abbracciare questo valore abbia ricadute positive per il pianeta e per le vendite. In alcuni comparti rappresenta ormai la conditio sine qua non per crescere ed espandersi. Nel mercato del lusso, il “decennio d'oro” della sostenibilità è già avviato. La pandemia ha solo accelerato percorsi che vanno in questa direzione e il target di riferimento di molti brand, la generazione Z - ovvero i consumatori che saranno più influenti in futuro - premiano i marchi che hanno un impatto positivo sull'ambiente e sulla società. Al contrario, appare evidente come inizino a prendere le distanze da coloro che non hanno una posizione su questi temi.

È quanto emerge dal report “LuxCo2030: A Vision of Sustainable Luxury”, pubblicato da Bain & Company in collaborazione con Positive Luxury. Lo studio prova a tratteggiare le caratteristiche che deve possedere una LuxCo nel 2030. Individuando cinque pilastri su cui concentrare le strategie aziendali: la ridefinizione del purpose del brand, il disaccoppiamento della crescita dai volumi, la tracciabilità della supply chain, la massimizzazione dei commitment ambientali e sociali e la creazione di valore economico dalla sostenibilità.

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“I marchi del lusso percepiscono un'aspettativa crescente da parte dei consumatori. E se molti di essi si sono già mossi con dichiarazioni d'intenti, con l'obiettivo di non arrivare ultimi nella corsa alla sostenibilità, nei prossimi 10 anni vedremo se riusciranno a mantenere questi impegni e a realizzare l'obiettivo a lungo termine di un business sostenibile e redditizio - spiega Claudia D'Arpizio, Global Head del Vertical Moda & Lusso di Bain & Company - Un restyling dei modelli non sarà sufficiente: i brand che vorranno avere successo nel 2030 dovranno iniziare già da oggi a re-immaginarsi profondamente”.

L'impegno non si deve fermare agli appelli. Ma prevede un percorso preciso, focalizzato e ponderato, che riveda gradualmente la propria cultura aziendale e il business. “Per decenni, il principale obiettivo dei brand del lusso è stato quello di fornire prodotti e servizi la cui artigianalità ed esclusività stimolassero il desiderio e l'aspirazione dei consumatori. Tra il 2020 e il 2030, l'orientamento dei consumatori potrebbe cambiare significativamente, e il lusso sarà probabilmente associato a qualcosa di più simile all'antico concetto greco di kalokagathia, ciò che è bello e buono, per le persone e per il pianeta”, aggiunge Matteo Capellini, Associate Partner di Bain & Company.

Se, da un lato, il Covid ha consapevolizzato molte aziende sull'importanza di interiorizzare la sostenibilità, dall'altro quest'ultimo periodo ha rappresentato un vero buco nero per molti player del lusso. I dati di Altagamma Bain Worldwide Market Monitor 2020 parlano di una perdita per l'alto di gamma nell'anno del Covid del 20/22%, per i beni di lusso personali (moda, gioielleria, accessori, cosmetica) il calo è intorno al -23%. A maggior ragione, quello della sostenibilità appare un driver interessante per riuscire a uscire dalla complessa situazione attuale.

Gli ultimi mesi hanno contribuito a gettare le basi per un cambiamento a lungo termine. I brand hanno compreso che la crescente domanda dei consumatori per beni di lusso più sostenibili - anche guidata dal desiderio di prodotti più durevoli e di qualità superiore - non fosse soltanto una moda, ma una rivoluzione strutturale.

Quali azioni vanno intraprese per cambiare pelle nel segno della sostenibilità? Le imprese di successo – anche grazie al supporto dell'intelligenza artificiale – saranno quelle capaci di ridurre le eccedenze nei magazzini, favorendo gli ordini e offrendo al cliente più opzioni di personalizzazione. Nel 2030, i marchi di successo potrebbero vedere una quota di mercato del second-hand anche pari al 20% del fatturato, con un incremento del margine di profitto del singolo prodotto del 40%. In questo scenario, anche il noleggio di capi e prodotti potrebbe arrivare a pesare il 10% del fatturato.

La LuxCo del futuro dovrebbe poi riuscire a contare su meno fornitori ma sicuri, ovvero forti dal punto di vista dell'impatto ambientale e sociale, così come di qualità e di produzione. L'inclusività sarà garantita dal Chief Diversity Officer, mentre il nuovo modello di business, per essere sostenibile anche dal punto di vista economico, dovrà avvalersi degli incentivi fiscali legati ai progetti ambientali.

“Ciò che è imprescindibile - conclude D'Arpizio - è un approccio di tipo olistico: dovrà abbracciare consumatori, dipendenti, fornitori, comunità e tutte le aree aziendali. Solo così i brand potranno trasformare con successo le dichiarazioni di intenti in azioni quantificabili, e queste tradursi in un cambiamento significativo e, nel tempo, in un ritorno economico”.

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