Il dopo guerra non sia un ritorno al passato
«Se è difficile vincere una guerra, ancora di più è vincere la pace» (si dice che abbia detto Winston Churchill ritornando a Londra dopo la Conferenza di Jalta del febbraio 1945).
di Sergio Fabbrini
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«Se è difficile vincere una guerra, ancora di più è vincere la pace» (si dice che abbia detto Winston Churchill ritornando a Londra dopo la Conferenza di Jalta del febbraio 1945). La visione britannica di un ritorno agli imperi fu rifiutata, da americani e sovietici, perché “superata dagli eventi”. Se e quando ci sarà una pace tra l’Ucraina e la Russia, sarebbe bene che l’Europa vi arrivasse con una visione anch’essa non superata dagli eventi. Di qui, la domanda: la prospettiva europea coincide con quella ucraina? Per gli ucraini non si potrà più ritornare agli accordi del 2014. Dopo l’ingiustificabile e sanguinaria aggressione russa, la prospettiva della neutralità dell’Ucraina, così come della Finlandia e della Svezia, non avrebbe senso. Tant’è che, secondo un sondaggio del Kyiv International Institute of Sociology, l’87% degli ucraini è a favore dell’entrata del loro Paese nella NATO entro il 2030 (erano il 59% prima della guerra russa) e il 92% è a favore dell’entrata nella Ue entro il 2030 (67% prima della guerra).
Pur sopportando costi materiali e personali senza precedenti per via della guerra, l’88% degli ucraini ritiene “inaccettabile” rinunciare a porzioni del territorio nazionale pur di avere la pace. La stessa percentuale di ucraini approva il presidente Zelensky nella sua inflessibile difesa dell’integrità territoriale del Paese (mentre la sua popolarità era del 35% prima della guerra). La prospettiva ucraina è sostenuta con grande determinazione dai Paesi dell’Europa orientale, guidati dalla Polonia. I leader di questi Paesi non solamente vogliono che l’Ucraina entri nella NATO e nell’Ue prima del 2030, ma chiedono anche che l’Ue si allarghi il prima possibile ai Paesi dei Balcani occidentali (compresa la Serbia filorussa), alla Georgia e alla Moldavia. Per Varsavia, NATO e Ue si sovrappongono, o meglio la seconda è un’appendice finanziaria della prima. Tale prospettiva è di natura esclusivamente geopolitica. Per questi Paesi, si tratta di contrastare militarmente la Russia e non già di dare vita (anche) ad un’alternativa democratica a quest’ultima. Tant’è che la Polonia del premier conservatore Mateusz Morawiecki è la più determinata a combattere Putin, replicando però al suo interno le politiche autoritarie di quest’ultimo.
È questa la prospettiva che l’Ue deve fare propria? Non direi. Certamente, per l’Ue la pace deve necessariamente basarsi sulla creazione di un sistema di sicurezza (collegato alla NATO) che protegga l’Ucraina da nuove aggressioni russe, senza allo stesso tempo minacciare la sicurezza della Russia intesa come stato nazionale (e non già come nazione-impero). Tuttavia, l’Ue non è un progetto geopolitico, bensì di integrazione sovranazionale. Vi è una netta distinzione tra NATO e Ue. La prima è un’organizzazione internazionale finalizzata a garantire la sicurezza militare del nostro continente, la seconda è un’organizzazione sovranazionale nata per “creare un’unione sempre più stretta” tra i suoi stati membri e i loro cittadini. Non la vedono così i leader della Polonia e di diversi Paesi dell’Europa orientale. Costoro sono a favore di un irrobustimento della difesa europea (Varsavia sta spendendo più del 2% previsto), ma interpretano quest’ultima come il coordinamento delle difese nazionali all’interno della NATO. Per loro, ciò che conta è il consolidamento del rapporto con Washington D.C., non già il rafforzamento di Bruxelles. Tant’è che spingono per un allargamento dell’Ue, proprio perché esso è destinato ad indebolire la sua natura sovranazionale. Per questi leader, più l’Ue si allarga e più acquisirà il carattere di un’organizzazione internazionale, più avrà un carattere di organizzazione internazionale e più funzionerà sulla logica consensuale del potere di veto. Questa prospettiva, non solamente indebolisce l’Ue, ma non rafforza neppure l’America. Per esercitare la sua influenza globale, l’America abbisogna di un sistema di alleanze regionali, non disponendo di un “hard power” sufficiente per agire da sola. La condivisione delle responsabilità della sicurezza europea con un’Ue dotata di una credibile forza di persuasione militare consentirebbe, all’America, di focalizzare il proprio impegno in Asia, così da meglio contrastare l’altra grande potenza autoritaria (la Cina). Seguendo Varsavia, ci allontaneremmo da Washington D.C e non solo da Bruxelles.
In conclusione, l’Ue deve sostenere l’Ucraina senza equivoci, non facendo propria (però) la prospettiva di chi vuole trasformarla in una replica finanziaria della NATO. L’Ue non è un’alleanza tra Paesi sovrani, né una coalizione semi-istituzionalizzata di vecchi e nuovi nazionalismi. La sua prospettiva sul dopo-guerra deve conciliare le esigenze di sicurezza (dei Paesi dell’Europa orientale, a cominciare dall’Ucraina) con le esigenze della democrazia (del suo progetto integrativo). Può essere la prospettiva (avanzata dal presidente francese Emmanuel Macron) di dare vita ad una Comunità politica europea distinta dall’Ue, in cui integrare l’Ucraina e gli altri Paesi orientali minacciati dalla Russia. Oppure, se si ritiene che l’allargamento dell’Ue all’Ucraina e agli altri Paesi orientali sia indispensabile per proteggerli dalla minaccia russa, può essere la prospettiva di differenziare costituzionalmente l’Ue al suo interno, così da salvare il suo progetto democratico dai condizionamenti dei nazionalismi. A Jalta, Churchill perse perché voleva ritornare al passato. Dopo la guerra russa sarebbe bene non commettere lo stesso errore
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