Il lato magico del Surrealismo
La mostra alla Collezione Peggy Guggenheim esplora il ruolo pervasivo che la magia ha rivestito per il movimento, con gli artisti diventati alchimisti, maghi e visionari
di Ada Masoero
3' di lettura
Come per una di quelle congiunzioni astrali che erano così care ai surrealisti, cultori del pensiero magico e di tutto ciò che esula dalla dimensione razionale, in questo inizio del 2022, a quasi un secolo dalla fondazione, il surrealismo si ritrova al centro della scena internazionale: mentre Cecilia Alemani ha dato alla sua Biennale lo stesso titolo spiazzante (Il latte dei sogni) di un libro di fiabe di Leonora Carrington - la più grande delle artiste surrealiste - a Londra la Tate Modern ha in corso una mostra enciclopedica sul surrealismo, realizzata con il Metropolitan Museum of Art di New York, e da ieri, dopo i rinvii per la pandemia, la Peggy Guggenheim Collection presenta un magnifico affondo proprio sul ruolo pervasivo che la magia, in ogni sua forma, rivestì per quel movimento.
Art of This Century
Frutto di una ricerca quasi decennale condotta dalla curatrice, Gražina Subelytė, la mostra veneziana si apre, in più, nella casa di Peggy, che dei surrealisti fu mecenate, compagna d’avventura (oltre che moglie, negli anni 40, di Max Ernst) e che, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, ne aiutò più d’uno (André Breton in testa) a mettersi in salvo negli Stati Uniti. Senza contare che dal 1942, a New York, con la sua galleria-museo Art of This Century avrebbe impollinato la nuova arte americana con le opere dell’avanguardia europea, che lei presentava in mostre temporanee e, più ancora, nelle sale destinate alla collezione privata, dove esponeva le sue splendide opere astratte e surrealiste.
I lutti della Prima guerra mondiale avevano generato il surrealismo, fondato nel 1924 da Breton con il (primo) Manifesto del Surrealismo; quelli del secondo conflitto, seppure vissuti dagli Stati Uniti, lo avevano fatto crescere enormemente, in tempi sinistramente simili ai nostri. Loro, perciò, si rifugiavano nell’irrazionale, nutrendosi avidamente delle ricerche di Freud sull’inconscio ma attingendo non meno largamente all’occultismo, all’esoterismo, all’alchimia (e qui entra in gioco anche Jung), alla negromanzia. Del resto, si chiedevano loro, perché credere nel pensiero razionale dell’Illuminismo e del Positivismo, che aveva generato ben due guerre mondiali?
L’unico antidoto alla “follia” della ragione, l’unica via per rifondare il mondo con una rivoluzione che fosse sì sociale e politica ma più ancora «delle menti», andava cercato, per loro, da un lato nelle regioni insondabili dell’inconscio freudiano, dall’altro nell’«onnipotenza» di un pensiero magico che, in una connessione ancestrale tra uomo e universo, sapesse agire sul reale trasformandolo secondo i loro auspici.
Il ritratto di Max Ernst in veste d’eremita-sciamano
Ecco allora che gli artisti diventavano alchimisti, maghi, visionari; le artiste, dee, streghe, incantatrici. In mostra lo prova splendidamente l’accostamento (inedito) tra il ritratto di Max Ernst in veste d’eremita-sciamano, dipinto nel 1939 da Leonora Carrington (allora sua compagna) e quello della stessa Leonora come «sposa alchemica», realizzato nel 1940 da Ernst, che le impose una testa di rapace notturno e un manto di piume scarlatte (il rosso, o «rubedo», è lo stadio più elevato del processo alchemico), simile a quello in cui lei, poco prima, aveva avvolto lui.
Ad aprire i giochi è però (dopo l’inquietante Malocchio del poco noto ma potente artista italoamericano Enrico Donati) la metafisica di De Chirico, qui con il dipinto appartenuto a Breton Il cervello del bambino, 1914, perché -fino a che non lo ripudiarono - lui rappresentò un autentico faro per tutti i surrealisti. Che entrano subito in gioco con opere bellissime e rare, alcune mai viste in Italia, giunte da musei e collezioni private internazionali, come l’ammaliante L’Europa dopo la pioggia II, 1940-42, di Max Ernst, popolato di forme totemiche primordiali, così simili al palo-feticcio esposto accanto. Di seguito, sfila tutto lo Stato maggiore dei surrealisti: Yves Tanguy, prediletto da Peggy, e Kurt Seligmann - artista di valore, ma prima ancora famoso teorico della magia - con le sue “battaglie” infernali, e poi Delvaux e Magritte, Masson, Domínguez e Dalí, Matta e Lam. Insieme a loro, la folta e bellicosa pattuglia delle donne, da Leonora Carrington (di cui è esposta tra l’altro la grande scultura della metamorfica Donna gatto) a Remedios Varo, Dorothea Tanning, Leonor Fini, tutte presenti con opere che, al pari di quelle dei compagni di strada, vanno esplorate a lungo e da vicino, scoprendo i dettagli allarmanti (mostriciattoli infernali alla Bosch, mutazioni chimeriche tra umano e animale, simboli stregoneschi) di cui sono intessute, nella loro ricerca di una dimensione “altra”. A chiudere il percorso è il film (incompiuto) La culla della strega di Maya Deren, girato nel 1943 nella galleria di Peggy, ma la mostra di fatto continua nella collezione permanente, riallestita con accostamenti “parlanti” tra altre magnifiche opere surrealiste di Peggy e le sculture africane e oceaniche da cui lei era ugualmente affascinata.
Surrealismo e magia.La modernità incantata, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim
Fino al 26 settembre
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