Il manager categorizza tutto, ma è importante trovare la propria strada
Un modello semplice basato su tre elementi chiave per navigare nella vastità e orientare il modo di essere leader
di Costanza Biasibetti *
4' di lettura
Se anche voi possedete quella che considerate una fobia, e cioè l’assurdo essenziale bisogno di categorizzare, di ricondurre il molteplice al singolare, di semplificare le questioni andando al punto, magari con l’obiettivo di risparmiare tempo, energie e denaro, allora non temete: siete umani. E non siete un umano qualunque, bensì un manager, ovvero uno che amministra, che gestisce, che orienta la vastità delle cose. Partendo da quella che potrebbe apparire una semplificazione, ma che non ha davvero nulla di semplice.
Categorizzare il reale significa compiere un quotidiano viaggio iniziatico che conduce all’origine delle cose, alle motivazioni prime che muovono il mondo, le energie e i processi. E chi lo fa è un pendolare del miglioramento continuo, guarda a ciò che lo circonda con la consapevolezza di dover tagliare il superfluo e salvare l’essenziale.
Ma come si fa a trovare l’essenziale? E soprattutto, trovare il focus di un progetto, di un team, di un evento, di un’impresa, significa davvero dover tagliare qualcuno o qualcosa?Alessandro Bergonzoni affermava di aver fatto consapevolmente voto di vastità: l’essenziale, a volte, non basta per rendersi conto di ciò che ci circonda. Altrimenti saremmo tutti eremiti e vivremmo di acqua e di pane.
Abbiamo allora bisogno di cogliere il pulviscolo nella vastità, di ordinare il molteplice, di trovare le chiavi di volta della nostra vita personale e professionale (perché diverse chiavi schiudono molteplici porte).Oggi non parleremo di processi lean o di metodologie di management, faremo un viaggio iniziatico alla ricerca di un mantra, quella parola chiave in grado di categorizzare la vastità del reale ed orientare il nostro modo di essere leader, di essere professionisti, di essere umani.
La scrittrice americana Elizabeth Gilbert, accogliendo nella sua vita e nella sua opera la tradizione antichissima del viaggio iniziatico come ricerca e trasformazione dell’io, propone un percorso catartico che proviamo a sposare, così, di getto, in fiducia.
1) Mangia. Prima di Steve Jobs, lo disse Platone: solo uscire dalla caverna e cibarsi del mondo reale permette di stabilirne i confini, di conoscerlo davvero. La prima tappa del viaggio ci invita ad assaggiare il nostro quotidiano, a gustare la riunione in ufficio, il meeting da casa, a sentire l’acquolina in bocca ripensando ai progetti accattivanti, quelli che ti tengono saldo ancorato alla sedia finché non li hai esauriti, finché il piatto non è perfettamente pulito. Mangiare non significa solo alimentarsi: non lasciamoci trascinare dal falso mito della dieta che ci propina l’illusione di poter essere felici anche senza una buona pizza. Non è vero. Abbuffatevi senza timore di ingrassare delle critiche costruttive, dei pareri silenziosi ma imparziali, del punto di vista di tutti, anche degli stagisti. Possono sempre riservare qualche immensa sorpresa, un po’ come quel ristorantino aperto da poco e provato con circospezione che sa poi offrire un pasto memorabile.
Almeno in fatto di management, non siate schizzinosi, lo dico col cuore. Non partite dal presupposto di non voler assaggiare, di non voler considerare altre vie. Cercate piuttosto la qualità, non accontentatevi di una filiera sconosciuta o del prezzo più basso. Mangiate senza remore e scegliete poi, nella vastità di cose gustate con passione, il vostro piatto preferito, ciò che vorreste assaggiare ancora, il vostro ultimo desiderio culinario se foste nel braccio della morte.
2) Prega.Sembra che la preghiera e il management non vadano molto d’amore e d'accordo, perché almeno in apparenza possiedono fini e modalità decisamente diverse tra loro. Ma la seconda tappa del nostro viaggio nella vastità ci porta proprio qui, in un tempio in cui la parola ascoltata ha più valore di quella pronunciata. La preghiera ci impone di fare silenzio, di trovare, anzi, di costruire per noi un’oasi di pace in cui riuscire a sentire prima gli altri e poi noi, stabilendo il ritmo e l’equilibrio, scandendo la durata di un minuto.Come manager, sappiamo che il tempo può sempre fare la differenza e che ogni opportunità, ogni sfida, deve essere colta. Ma in un certo modo.
Non lasciamoci trascinare dalla vastità delle cose, puntiamo i piedi e proviamo a capirle, a comprenderle, altrimenti ne verremo travolti.Solitamente, si pensa che si preghi per chiedere qualcosa. Ma pregare non significa per forza chiedere. Come discutere non significa per forza scontrarsi. O riprendere un dipendente non significa per forza licenziarlo. Pregare ci chiama ad un atteggiamento orante, in grado di considerare ciò che ci circonda con obiettività e a prenderci il tempo giusto per ponderare.
A volte, significa anche accettare il destino o una decisione dall’alto, con la consapevolezza di non poter / dover fuggire da una situazione che non possiamo cambiare, ma che dobbiamo invece accogliere e trasformare in motore per l’evoluzione. Il Covid non lo voleva nessuno, ma è arrivato: non possiamo farci niente, se non estrapolare da questo tempo gli insegnamenti positivi. Pregare è anche un po’ questo: fidarsi della propria resilienza.
3) Ama.Veniamo ora ad una tappa delicata, quella più difficile da condensare in una parola soltanto, quel modo di esperire le cose che a volte vorresti staccare da te stesso e riporre in un cassetto. Il manager ama con difficoltà. Perchè il succo dell’amore è il rischio e il manager sa che rischiare è pericoloso, troppo. Se devi categorizzare, di certo la scelta più saggia è preferibile; se devi scegliere la via da intraprendere per te stesso, il tuo team, la tua impresa o quella dei tuoi clienti, l’equilibrio è facile e soprattutto è giusto. Ma non sempre è la scelta migliore.
Alla fine del proprio viaggio iniziatico, la protagonista del libro di Gilbert e dell’omonimo film “Mangia prega ama” arriva alla conclusione che se sei abbastanza coraggioso da lasciarti indietro tutto ciò che è confortevole, dalle tue abitudini ai vecchi rancori, e scegli di partire per un viaggio alla ricerca della verità, della tua chiave di volta, se accogli ogni aspetto del viaggio come un indizio e ogni persona come un insegnante, e se sei disposto a perdonare te stesso per gli errori compiuti in passato, allora la verità non ti sarà preclusa. Se amerai, se rischierai molto, molto ti verrà anche restituito. Nella vastità essenziale delle cose, avrai trovato la tua chiave di volta.
* Consulente di Newton Spa
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