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Il Mediterraneo non è solo «barconi»

di Armando Torno

2' di lettura

Il Mediterraneo da oltre cinquemila anni accoglie più storia di ogni altro mare. Correndo sulle sue acque Ulisse cercò la meta di ogni uomo, i romani lo chiamarono “nostrum”; poi lo percorsero crociati e pirati, le navi delle repubbliche marinare o quelle che si scontrarono a Lepanto decidendo il destino dell'Occidente.

Persino dopo le scoperte di Cristoforo Colombo questa distesa d'acqua rimase in primo piano; anzi, nel secolo scorso la seconda guerra mondiale ebbe un suo importante teatro qui, con i sottomarini e le ultime corazzate.

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Il Mediterraneo ha visto nascere le tre grandi religioni monoteiste; e non soltanto. Gli dei greci apparvero tra i suoi flutti e i primi cristiani solcarono questa distesa che va da Gibilterra al Medio Oriente, da Venezia ad Alessandria d'Egitto. Impossibile elencare città e cose, uomini e vicende che hanno utilizzato il Mediterraneo come luogo d'incontro o di passaggio.
Insomma, è un mare che non riesce a starsene tranquillo, con troppe civiltà attorno, con un notevole e continuo andirivieni di uomini.
D'altra parte, anche oggi il Mediterraneo è al centro dell'attenzione per gli esodi dei migranti. E, osservando quel che sta succedendo sulle sue sponde, si direbbe che nei prossimi secoli continuerà a partecipare alla storia degli uomini.
Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli hanno scritto un libro originale, leggibilissimo, che rivela il loro progetto già nel titolo: “Storia del Mediterraneo in 20 oggetti” (Editori Laterza, pp. 192, euro 20; con illustrazioni di Andrea Antinori).
Gli autori hanno cercato di ripercorrere quel che accadde in questo piccolo oceano permeato di cultura seguendo le tracce di alcuni oggetti, a volte ordinari, altre volte curiosi o strani, comunque in grado di raccontare la storia e infinite storie.

I venti capitoli in cui è diviso il libro corrispondono agli oggetti. Vi trovate, per esempio, “Il pane” o “La moneta”, “La bussola” o “Il relitto”, “L'anfora” o “La catena”. Ogni parola cela infinite vicende ed è presentata in modo accattivante.
Trattando della bussola gli autori scrivono: “Flavio Gioia non esiste. O meglio, esiste un po', ma è frutto più che altro di un errore”. E l' interessante equivoco accadde quando il bolognese Giambattista Pio riprese una notizia di Flavio Biondo, che ricordava la nascita della bussola ad Amalfi. Notò: “Fu inventata da Flavio, si dice” (“Inventus a Flavio, traditur”). Ma, notano Feniello e Vanoli, “bastò una virgola per fraintendere irrimediabilmente quella frase”; infatti, mettendola dopo “inventus”, il senso si rovescia, perché dopo la notizia dell'invenzione resta solo la sua testimonianza: “Flavio lo dice”. Da ideatore Flavio Gioia di Amalfi diventa un semplice comunicatore.

Una dei venti oggetti è “barcone”. Dopo aver ricordato che secoli fa seguivano una rotta contraria a quelle di cui parlano le attuali cronache, gli autori chiudono il capitolo così: “Mediterraneo. Barconi. Oggi”

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