Il talento essenziale di Bobi Bazlen
Nell’imprescindibile libro “Bobi”, per i tipi di Adelphi, il ricordo-ritratto di Roberto Calasso
di Alberto Fraccacreta
2' di lettura
In “Per una filosofia dell'azione responsabile” il critico russo Michail Bachtin metteva in rilievo un concetto fondamentale della sua speculazione teorica: l'exotopia, anche detta “trasgredienza”, ossia quel movimento di uscita da sé che compie l'autore quando deve ritrarre l'eroe del suo romanzo. Trovarsi fuori, collocarsi in un luogo altro. Leggendo Bobi, assieme a Memè Scianca il testamento letterario di Roberto Calasso, si assiste a una simile “extralocalizzazione”.
Il compianto presidente di Adelphi — scomparso a Milano il 28 luglio scorso — ricorda la sua amicizia con Roberto Bazlen, ideatore della casa editrice, riannodando i suoi gusti, la vita dedita ai libri, la reticenza verso la scrittura, il suo tono quasi sempre oracolare:
Adelphi
«L'opera compiuta di Bazlen fu Adelphi. Definibile con una frase che mi disse il giorno in cui me ne parlò — e Adelphi non aveva ancora il suo nome: “Faremo solo i libri che ci piacciono molto”».
Roberto Bazlen (1902-1965), detto Bobi appunto, è stato un intellettuale triestino che non pubblicò nulla in vita (gli Scritti, curati dallo stesso Calasso, uscirono nel 1984), ma fu un consulente prezioso per case editrici come Einaudi, Bompiani, Astrolabio. Era informatissimo particolarmente in ambito mitteleuropeo e, grazie alla sua mediazione, arrivarono in Italia autori del calibro di Freud, Kafka, Musil e molti altri.
In Bobi Calasso non cerca soltanto di ricordare una figura importante per la sua vita, un sodale e un maestro, ma — tornando ai giorni della primissima conoscenza — prova a immergere sé stesso nell'essere di Bazlen, nel riviverlo attraverso l'atto della scrittura. Ecco allora momenti di sorprendente quotidianità: «Bobi stava al primo piano di via Margutta 7. Una stanza da un'affittacamere, più un'altra stanza, dove non ho mai messo piede; forse era un pezzo di una stanza dei rifiuti. Il telefono era nel corridoio. La stanza di Bobi dava l'impressione di un perfetto ordine, senza per questo essere particolarmente ordinata. A sinistra un letto, dove si svolgevano le funzioni più importanti: leggere, scrivere, dormire. Alcune pile di libri, alcuni stabili, altri di passaggio. Si riconosceva subito la differenza. Un minuscolo tavolino in mezzo. In un angolo, un fornello per il caffè. Bobi aveva un suo maglione norvegese marrone scuro, una tonalità attenuata dal tempo, che mi piacque subito».
È soltanto un racconto della vita di Bazlen per frammenti? È probabilmente una biografia “spirituale” in cui Calasso, nell'apparente disordine della casualità riflessiva, ci presenta un uomo singolarissimo, forse un “mistico” (come ebbe a definirlo Montale), certamente una personalità unica nella cultura italiana a cavallo tra le due guerre mondiali.
«Cosa mi aspettavo di trovare in Bazlen? [...] I talenti non mancavano — anzi, a distanza di qualche decennio, fa quasi spavento pensare a quella profusione imponente, se si guarda alla pochezza di ciò che le fece seguito —, ma qualcosa mancava. E forse l'essenziale. Bazlen fu per me quell'essenziale».
Roberto Calasso, Bobi, Adelphi, pagg. 97, euro 12
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