In Asia meglio il talento “Expat” o quello locale? Vince la complementarietà
Le aziende sono passate da un modello “padronale” o “semi-statale” all’espressione più progressista dell’impresa di spicco contemporanea
di Roberto Guidetti *
4' di lettura
Come varia il livello di competenza ed esperienza del talento locale in diverse categorie e paesi asiatici? Quali sono le complementarietà e possibilità con il talento esportato dalla casa madre? Negli ultimi 20 anni c’è stata una rivoluzione nel talento alla guida di aziende multinazionali in Asia. Al volgere del 2000 erano poche le nazioni in cui il senior management era locale: Giappone, Hong Kong, Taiwan, Singapore, Filippine.
Questo era dovuto a motivi storici o economici, per esempio la prolungata presenza occidentale dopo la seconda guerra mondiale, o record sviluppo economico nel caso di Hong Kong e Singapore. Nella Cina continentale, i Ceo erano tutti expat, come lo erano anche i capi delle varie funzioni, importati dalle filiali di Hong Kong o Taiwan ma spesso anche dall’estero. Queste aziende eseguivano modelli globali o regionali percio' usare manager che avevano guidato tali modelli in parti più sviluppate dell’azienda era logico e fattibile.
Un acceleratore del talento locale era anche la data di fondazione della filiale e il suo successo. Un processo che a lungo termine generava a sua volta sistemi di training consolidati e di opportunità di crescita “from within” fino a diventare un “hub” che addirittura esportava talento. Questa evoluzione tradizionalmente richiedeva decenni di formazione, anche in strutture occidentali. Per esempio in Procter & Gamble (P&G) Italia ci vollero 30 anni dalla sua fondazione nel 1956 per avere il primo direttore generale italiano.
Ai giorni odierni, con la crescita economica più veloce, l’esplosione dell’e-commerce e dell’educazione professionale ci si aspetterebbe che la maggior parte di aziende fossero guidate da talento locale. Questo è avvenuto per aziende locali, ma non per aziende internazionali, spesso ancora guidate da expats. Gli attuali leader delle filiali in Cina di aziende come P&G (fondata nel 1988) o Coca-Cola (fondata nel 1978) sono ancora expats.
Chi ha fatto meglio, aziende locali guidate da locali o aziende internazionali guidate da expats? Le aziende multi-nazionali hanno progressivamente perso quote di mercato a favore prima di aziende asiatiche provenienti da mercati più sviluppati (Giapponesi nel Sud Est Asiatico, Taiwanesi in Cina) e poi a favore di aziende locali in vari settori come beni di largo consumo, ad alimentare e bevande, high-tech, grande distribuzione. Le aziende multinazionali si sono spesso dimostrate restie a lasciare le redini a talento locale non abbastanza conosciuto o vicino alla casa madre in termini di cultura nazionale e/o aziendale.
Di conseguenza i migliori manager locali tendono a lasciare l’azienda quando percepiscono una barriera di tale tipo alla loro ambiziosa crescita. Il talento locale (spesso tri-lingue, con MBA all’estero) è in forte domanda da aziende locali, ora non solo cresciute in competenza professionale e sofisticazione, ma anche molto più agili a navigare la nuova complessa realtà online/offline e in grado di offrire non solo affinità culturale, ma la fierezza di appartenere a una forte ed emergente realtà nazionale.
Le aziende locali sono passate da un modello “padronale” o “semi-statale” all’espressione più progressista dell’azienda di spicco contemporanea. Una visita ai quartieri generali di Tencent a Shenzhen, o Alibaba ad Hangzhou, rivela campus enormi e simili a quelli di Google, Facebook o Apple, in una cultura di diffusa informalità con benefits che includono anche agevolazioni su mutui e acquisti della casa.
Siamo quindi passati da un’era in cui il talento locale era motivato da una multinazionale restia a crescerlo, ad una nuova incapacità dell’azienda estera di attrarre il migliore talento locale che sempre di più preferisce l’azienda locale. Nel contesto delle scelte di talento per l’Asia del futuro è opportuno essere consci di queste dinamiche, ma allo stesso tempo un approccio binario al talento è fuorviante.
Quello che va perseguito e valorizzato è la complementarietà del talento internazionale verso quello locale. Agli expat spesso mancano la conoscenza locale e l’abilità di percepire la velocità dei trend mentre il mercato si sviluppa. Manager che si muovono in 2-3 anni non hanno la possibilità di immergersi nella realtà locale e risultano meno capaci di anticipare le tendenze di mercato, comunicarle ai loro quartieri generali e avere il necessario supporto. Ai locali a loro volta manca la visione “outside-in”: mettere le propria nazione nel contesto globale più ampio, cosa che puoi fare solo se hai viaggiato e vissuto in continenti diversi e conosci la cultura dell’azienda a livello centrale e in altre nazioni.
La ricetta vincente appare essere la combinazione di:
1) Expat che non solo sono disposti, ma anzi sono entusiasti di un ruolo di lungo termine in una nazione o almeno in una regione, dai 5 ai dieci anni.
2) Locali che veramente ambiscono alla carriera internazionale con l’azienda.
Gli spazi rimangono quindi aperti anche per imprese italiane che tengono presente alcuni fattori chiave per il successo in questo contesto. Le domande da porsi sono queste:
1) È l’azienda capace di attrarre talento italiano disposto a una carriera di lungo termine all’estero ed entusiasta di approfondire la cultura locale?
2) È disposta non solo ad assumere talento locale in posizioni di leadership locale, ma anche di dare loro reali opportunità in casa madre?
3) È disposta a investire strategicamente nel lungo termine in Asia?
* Ceo di Vitasoy International Holdings
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