In Val Badia la montagna è laboratorio di sostenibilità
Oltre lo sci, sono in aumento le proposte per entrare in contatto con le comunità e la loro cultura. Dalle limitazioni agli accessi ai menù a km zero, le idee di creativi e imprenditori per stringere un nuovo patto tra persone e ambiente
di Chiara Beghelli
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La giornata è limpida, l’azzurro del cielo intenso, il freddo leggero. Camminando lungo il tru, il sentiero, sembra che l’aisciöda, la primavera, sia imminente, anche se siamo solo all’inizio di marzo e a quasi 2mila metri d’altitudine. Quelle due parole ladine, anzi, ladine della Val Badia, le ha pronunciate Anneliese Paratoni, guida esperta non solo di trekking e di sci, ma anche di cultura della zona. Ogni anno conduce decine di persone lungo percorsi che attraversano le viles, i gruppi di masi solitari custodi di questa cultura antichissima e insieme vitale. Quelle parole si pronunciavano così anche prima dell’arrivo dei Romani in quelle valli, nel 15 a.C., e sono sopravvissute perché quando l’impero cadde le persone si rifugiarono in alta montagna per sfuggire alle invasioni barbariche. Una protezione che li ha preservati.
Oggi i nemici della montagna non hanno un volto preciso, ma non per questo sono meno evidenti: sono nella neve che scarseggia, nei tronchi di abete rosso abbattuti dalla tempesta Vaia del 2018, nel rosicchiare silente ma implacabile del bostrico, il parassita che grazie al riscaldamento globale si sta moltiplicando oltre il limite e che trasforma le pendici in distese di grigiore e secchezza. Tutto questo accade a poco più di un mese dalla chiusura della stagione, che gli operatori dell’Alta Badia definiscono la migliore di sempre: gli hotel sono al completo, le piste sono vivaci, le strade trafficate. Tutto consueto in inverno, certo. Ma qualcosa sta cambiando.
«Fino a 10 anni fa chi veniva in montagna d’inverno voleva fare solo una cosa: sciare – dice Roberto Huber, direttore Alta Badia Brand –. Oggi invece si desidera anche altro, per esempio trekking per conoscere più da vicino la cultura ladina». Per il futuro del turismo di montagna, alle prese con l’evoluzione del clima e dei desideri di ospiti sempre più sensibili al tema della sostenibilità, la Val Badia è un cruciale laboratorio: lo scorso agosto ha ottenuto l’importante certificazione Gstc (Global Sustainable Tourism Council) delle Nazioni Unite, unico standard riconosciuto a livello internazionale per il turismo sostenibile: «Ora dobbiamo farla adottare anche alle strutture, puntiamo a una quarantina entro 5-6 anni», prosegue Huber. Nel suo necessario cammino verso un turismo più sostenibile la Val Badia ha attivato anche l’Alta Badia Climate Plan, che ha calcolato le emissioni di CO2 delle attività della zona: «Per l’80% sono prodotte dai trasporti, soprattutto dalle auto – nota Huber –. Se vogliamo abbatterle c’è bisogno di scelte decise, di puntare sui mezzi pubblici, sui treni».
Nel fondo valle il traffico è un ospite ingombrante, specie nei weekend limpidi: «Vanno contingentati gli accessi alla valle – dice Michil Costa, imprenditore, proprietario dell’hotel La Perla di Corvara e nemico della “monocultura turistica” della montagna (come spiega nel suo libro FuTurismi) –. La mia idea è questa: potrà accedere solo chi avrà crediti di carbonio e in base ai posti letto disponibili, con prenotazioni da avviare anche con mesi di anticipo, come accade per esempio in Bhutan».
Un’idea che è già diventata concreta, nella regolazione degli accessi al lago di Braies, preso d’assalto dopo essere stato protagonista di un’apprezzata serie tv, formula che la prossima estate sarà applicata anche ai quattro varchi per entrare nel Sella Ronda, con l’obiettivo di rendere presto le Dolomiti una zona a basse emissioni.
Ma nel nuovo paradigma non ci sono solo chiusure: «L’accoglienza, l’ospitalità, è la chiave del benessere umano – prosegue Costa –. Per questo dobbiamo far restare più a lungo le persone, offrendo esperienze a contatto con le comunità locali, per rompere quella bolla di incomunicabilità che troppo spesso separa chi vive stabilmente qui da chi vi passa le vacanze. Diventerà un turismo di più alta qualità, che come tale attirerà i giovani a voler lavorare nell’ospitalità, perché sarà un lavoro di qualità. E gli effetti di questo circolo virtuoso saranno percepiti anche dagli ospiti, con un ritorno alla fine anche economico per gli imprenditori».
I badioti custodiscono da millenni le loro montagne, ma 40 anni di velocissimo sviluppo turistico non ne hanno fermato lo spopolamento. Proprio il nuovo paradigma del turismo, però, potrebbe fermarlo: «Sarebbe opportuno distribuire gli arrivi nelle valli e nei paesi che ne hanno di meno, favorendo la scoperta di nuovi territori», nota Costa. È un percorso, un cammino, non solo metaforico. Proseguendo sul tru, Anneliese spiega come oggi siano soprattutto le nuove generazioni a voler tutelare la loro montagna e la loro cultura. Esistono gruppi pop e rapper che cantano in ladino, giovani agricoltori che coltivano la terra in modo rispettoso, creativi che scelgono di restare e valorizzare ciò che la montagna offre: possono essere abiti tradizionali rivisitati in senso casual chic, collaborando con artigiane locali, come fa Anita Vittur, che li cuce nel suo atelier a pochi passi dall’hotel dei genitori, a San Cassiano, o le lampade fatte di resine naturali e foglie raccolte d’autunno nei boschi e poi sminuzzate da Jasmin Castagnaro a Bressanone, nella vicina Valle Isarco.
Le ha chiamate Laab, “foglia” in ladino, e stanno conquistando hotel e ristoranti attenti all’ambiente, non solo fra le vette. Ancora, il lavoro appassionato di Andrea Irsara, proprietario e chef dell’hotel di famiglia Gran Ander di Badia, che nella sua stua propone una cucina gourmet con chicche gastronomiche dei produttori locali, come il burro della vicina Marisa e la carne di bovino sprinzen, razza della zona sopravvissuta solo grazie alla passione di alcuni allevatori. Un’alternativa al menù di mare in alta quota proposto da quei rifugi che Michil Costa preferisce definire «mense di lusso», e che pongono interrogativi sulla convivenza di due inevitabili necessità: quella dello sviluppo e quella della tutela, di un territorio che dal 2009 è anche Patrimonio dell’umanità. Il tur è costellato di sfide. Nell’800 l’autore di guide Karl Baedeker suggeriva l’esperienza di «sich (etwas) erwandern», ottenere camminando, perché un piede dopo l’altro ci si arricchisce sempre. E si vede meglio la meta.
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