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John Lennon, 40 anni fa la morte. Cos’erano per lui i soldi (e dove andranno a finire i suoi)

Il senso per il denaro del fondatore dei Beatles. Tra il patrimonio accumulato in vita e quello lasciato agli eredi. E poi: che succederà dopo la scomparsa di Yoko?

di Francesco Prisco

40 anni senza John Lennon

5' di lettura

Da lennonisti militanti, tutti i santi giorni li passiamo a dire, fare, baciare John Lennon. Non ce n’è stato uno solo, finora, in cui non ci siamo chiesti cosa avrebbe pensato lui in una determinata situazione, come se la sarebbe cavata in quella particolare circostanza. Arriva il giorno 8 dicembre 2020, sono passati 40 anni esatti dalla sua tragica morte, tutti ne parlano e noi, una volta tanto nella vita, ne faremmo volentieri a meno. E non per snobismo, ma per dribblare la retorica: che senso ha continuare a scrivere lo stesso articolo da 40 anni a questa parte?

«Money (that’s what I want)»

Alla fine decidiamo di farlo comunque, ma in maniera un po’ disallineata: non vi racconteremo, per l’ennesima volta, il genio della musica o l’icona pacifista, ma il suo rapporto con i soldi. Cosa ne pensava, quanti ne ha fatti e a chi li ha lasciati. A qualcuno di voi potrebbe magari suonare come una nota stonata, ma credeteci: Zio John, in vita, diede molta più importanza ai soldi di quanto saremmo portati a credere. Che si trattasse di guadagnarli o di buttarli via. Ebbene sì: c’è stata una fase in cui il nostro Working Class Hero, per sua stessa ammissione, al portafogli ci badava eccome. Forse proprio perché era un Working Class Hero (non ricco sfondato, ma neanche poverissimo). Perché aveva «fame», puntava in alto, voleva arrivare. Money, (That’s what I want), «i soldi sono quello che voglio», cantava ai tempi del Cavern, appropriandosi di una vecchia hit di Barrett Strong. E di una consapevolezza: «Le migliori cose nella vita sono gratis, ma puoi pure darle ai piccioni».

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Londra, 1965: Lennon con i Beatles riceve il titolo di baronetto (Epa)

«Baby, you’re a rich man»

Di soldi, con i Beatles, ne farà quanti nella musica non ne aveva mai fatti nessuno prima di allora. Nonostante una gestione a dir poco «artigianale» delle casse: portafoglio affidato a Brian Epstein, negoziante di dischi di Liverpool ritrovatosi, da un giorno all’altro, manager della band più importante del pianeta. Verrà il momento di cantare Baby, you’re a rich man: ce l’hai fatta, ragazzo, il mondo è tuo, «come ci si sente a essere uno della bella gente?» Un mese più tardi, Brian Epstein se ne andrà al Creatore. E due anni più tardi il dibattito sul nuovo manager cui affidare le sorti economiche dei Beatles sarà tra i principali motivi dello scioglimento del gruppo.

I Beatles nel 1967, quando esce «Baby, you’re a rich man» (Epa)

«Money for dope»

Con la Apple - nel senso dell’etichetta discografica dei Fab Four - Lennon è stato pure imprenditore. E la Apple non si può certo dire sia stata una best practice di gestione d’impresa, tra perdite a sei zeri, negozi «concettuali» di merchandising in cui hippie e freak avevano il vizio di fare la spesa alla gratis e uffici fuori dai quali i dirigenti avevano il vizio di campare... sulle note spese. Con questi presupposti di soldi non ne fai molti. Anche se non ti mancheranno mai i «money for dope» della famosa canzone. Insomma: cosa pensava dei soldi Lennon? «Ho lavorato per i soldi e volevo essere ricco. Quindi, che diavolo, se questo è un paradosso, allora sono socialista. Ma non sono niente. Prima ero uno che si sente in colpa per i soldi. Ecco perché li ho persi, o dandoli via o lasciandomi fregare dai cosiddetti manager», disse una volta.

New York, 1980: il corpo senza vita di John Lennon viene portato via (Epa)

Quanti soldi aveva Lennon quando ci lasciò

Ecco: tenete bene a mente queste parole. Aiutano a capire meglio alcuni numerini riferiti all’anno 1980, quello in cui Zio John ci lasciò. Il suo patrimonio personale, all’epoca, era stimato in 200 milioni di dollari. Considerando la rivalutazione, parliamo di una cifra che non si discosta dagli attuali 620 milioni di dollari. Certo, non male quei 200 milioni: il doppio rispetto al patrimonio fino a quel momento accumulato da George Harrison (100 milioni), sicuramente di più nel confronto con Ringo Starr (80 milioni), ma la metà rispetto a Paul McCartney (400 milioni), con il quale Lennon firmò a quattro mani il grosso del songbook beatlesiano. E, soprattutto, si giocava la leadership dei Fab Four. Tradotto: Macca, già all’epoca, si dimostrava più bravo a gestire i ricavi della proprio arte.

Ho lavorato per i soldi e volevo essere ricco. Quindi, che diavolo, se questo è un paradosso, allora sono socialista. Ma non sono niente. Prima ero uno che si sente in colpa per i soldi. Ecco perché li ho persi, o dandoli via o lasciandomi fregare dai cosiddetti manager

John Lennon

Quanti soldi hanno adesso i suoi eredi

A 40 anni dalla morte di Lennon, il focus si sposta naturalmente sul patrimonio personale degli eredi. A cominciare dalla vedova, ovviamente: Yoko Ono, amata/odiata dal grosso del popolo beatlesiano, possiede qualcosa come 700 milioni di dollari. Sean Lennon, il figlio che ebbe da John, si attesta sui 200 milioni, mentre Julian, primogenito dell’artista avuto da Cynthia Powell, possiede intorno ai 50 milioni. L’operazione più interessante intorno all’eredità di Lennon è quella compiuta da Yoko nel 2017, quando avviò le pratiche legali per ottenere il riconoscimento di co-autorice di Imagine, precedentemente attribuita al solo Lennon. Un anno più tardi, il riconoscimento è arrivato: il brano solista più celebre di John è di Lennon/Ono. Una mossa che ha a che fare con due questioni piuttosto pratiche.

John e Yoko alla presentazione di «Grapefruit», il libro della Ono che avrebbe ispirato «Imagine» (Epa)

Yoko co-autrice di «Imagine»

La prima questione è il diritto d'autore: l’ammissione di Yoko a co-autrice di Imagine di sicuro allunga la «vita» ai proventi sulla canzone. Dopo il termine dei 70 anni dalla morte dell’autore vengono infatti a cadere i diritti di utilizzazione economica da parte degli eredi e l’opera diventa di pubblico dominio, come le sonate di Bach e le sinfonie di Beethoven. Lennon è morto l’8 dicembre 1980. Se fosse rimasto l’unico autore del brano, gli eredi avrebbero incassato royalty fino al 2050. Con l’entrata in scena di Yoko (che a febbraio compirà 88 anni) lo scenario cambia radicalmente.

Che succede sull’asse dinastico

Il secondo tema è la questione dinastica. «Gli atti notarili ufficiali sono riservati – spiega Paolo Galli, avvocato dello studio Baker McKenzie, tra i massimi esperti d’Italia in tema di diritto d’autore – ma si potrebbe ipotizzare che alla morte di Lennon i diritti su Imagine siano andati in successione per quote a Yoko Ono, Sean e Julian Lennon». L’ammissione della Ono come co-autrice, comunque la si metta, «sposta» l’asse dinastico. E non di poco: «I diritti su Imagine – continua l’avvocato – diventano adesso in parte di Yoko Ono, mentre la restante parte è divisa tra la stessa Ono, Sean e Julian». La quota di quest’ultimo, insomma, dovrebbe andarsi a erodere.

Praga, un murale omaggia John Lennon (Epa)

Che succede alla morte di Yoko

E alla morte della Ono si aprono scenari tutti da verificare: perché si dà il caso che Yoko abbia anche una figlia di prime nozze, Kyoko Chan Cox, avuta dalla relazione con il promoter americano Tony Cox. Uno scenario ipotetico potrebbe vedere Sean con il 50% dei diritti di utilizzazione economica di Imagine in mano, seguito da Kyoko con il 33%, mentre in posizione più defilata apparirebbe Julian che, tra le altre cose, nel 2007 ha ceduto parte degli asset ereditati dal padre alla società americana Primary Wave Entertainment. Povero Julian. Una volta disse: «La mia vita è spendere i soldi lasciatimi da mio padre per comprare oggetti appartenuti a mio padre». Ne ha spesi abbastanza anche in avvocati, se consideriamo che negli anni Ottanta andò in causa con Yoko per questioni ereditarie. Chissà che, da qui a qualche anno, non gli ricapiti ancora.

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