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L'AGCM diventa giudice della “dipendenza economica” nei rapporti tra imprese

L'Autorità Antitrust italiana ha recentemente aperto una istruttoria nei confronti di Facebook (Meta) per accertare un presunto abuso di dipendenza economica nella negoziazione con Siae delle licenze d'uso, sulle proprie piattaforme, dei diritti musicali

di Simone Gambuto*

(Imillian - stock.adobe.com)

7' di lettura

L'Autorità Antitrust italiana ha recentemente aperto una istruttoria nei confronti di Facebook (Meta) per accertare un presunto abuso di dipendenza economica nella negoziazione con Siae delle licenze d'uso, sulle proprie piattaforme, dei diritti musicali. La questione presenta numerosi profili di peculiarità, che si traducono in altrettanti motivi d'interesse. La prima è che si tratta di una negoziazione ancora in corso, e l'Autorità ha appena adottato misure cautelari, imponendo a Meta di riprendere “in buona fede” le trattative”, dando “accesso alle informazioni” sui propri ricavi e ripristinando medio tempore l'accesso ai contenuti SIAE sulla piattaforma. La seconda emerge dalla scelta di aprire una istruttoria per abuso di dipendenza economica, piuttosto che di posizione dominante ex art. 102 TFUE, nonostante si sarebbe potuto approfondire la medesima questione in un “tradizionale” procedimento antitrust, affrontando la sfida di definire Meta “dominante”. La terza è che l'Autorità interviene nel settore delle piattaforme digitali proprio all'alba dell'entrata in vigore del digital market act, la quarta, è che SIAE è un super dominante nella gestione collettiva dei diritti d'autore, seguendo i tradizionali canoni di definizione del potere di mercato antitrust, ma è considerata parte “debole” nei confronti delle piattaforme di intermediazione, anche se esse non sono focalizzate primariamente sui contenuti musicali.

Ciò che più colpisce, però, è che quest' istruttoria dà ulteriore corpo ad una recente e significativa tendenza che ha visto l'AGCM portare avanti procedimenti sull'abuso di dipendenza economica in molti settori, anche molto distanti dalle piattaforme digitali (quali le reti di distribuzione in franchising, nella ristorazione, nell'abbigliamento, nella telefonia, o nel settore postale). Nella quasi totalità dei casi, queste istruttorie si sono chiuse con impegni, ovvero con obbligazioni della parte forte che sono state rese definitive nel provvedimento finale dell'Antitrust, senza accertamento di infrazione, e senza sanzione.

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Può dunque affermarsi che l'Autorità abbia, con decisione, tirato fuori dal cassetto dei suoi strumenti di enforcement l'abuso di dipendenza economica o “subfornitura nelle attività produttive”, una fattispecie prevista esplicitamente nell'ordinamento italiano dal 1998 e recentemente riformata e migliorata. In estrema sintesi, l'illecito si verifica quando una impresa trae vantaggio della situazione di dipendenza economica di un proprio cliente o fornitore per imporgli “un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”.

Per molto tempo e fino ad oggi, la stessa Autorità ha guardato con sospetto questo potere intrusivo nella libertà contrattuale di due imprese, ritenendolo sostanzialmente estraneo alla sua missione istituzionale.

In effetti, a ben guardare, anche nell'abuso di posizione dominante le autorità antitrust (non solo quella italiana) si sono maggiormente focalizzate sui c.d. abusi escludenti, più che su quelli di sfruttamento o di dipendenza economica, forse in ragione di una minore robustezza dell'analisi econometrica a supporto di questi casi. Riluttanza ancora maggiore si è registrata nelle competenze attribuite all'Autorità riguardo alla equità dei rapporti nel settore di produzione alimentare.

Ora, quindi, un cambio radicale di approccio.

L'abuso di dipendenza economica è una fattispecie ibrida, che dà opportunità, e qualche problema di non poco momento. Essa non prevede che l'impresa “forte”, dotata di potere di mercato, sia dominante in senso antitrust, e sfugge dunque dalle maglie e dallo standard probatorio che faticosamente si è costruito in questi anni in Europa per l'applicazione dell'art. 102 del Trattato. Essa non sembra neppure onerare l'Autorità di condurre una particolare analisi di impatto, benché la legge conferisca il potere di comminare sanzioni o diffide solo “qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato”.

È dunque più discrezionale, o forse più arbitrario, sicuramente meno rigoroso, e si occupa di equità del rapporto bilaterale tra l'impresa “forte” e quella “dipendente”, e non di efficienza della dinamica concorrenziale del mercato.

In sostanza, sembra maturare una ultima e più marcata evoluzione dell'Autorità che assume il ruolo di giudice, senza esserlo, su tematiche di diritto privato legate a contratti tra due imprese, in concorrenza con il giudice “naturale” previsto dalla Costituzione, e nei più svariati settori merceologici. Un'Autorità che, nella conduzione dell'istruttoria, non è terza, ma inquirente, con buona pace di Montesquieu e della tripartizione dei poteri. Tra l'altro, le decisioni con “impegni” sono molto raramente impugnate di fronte al giudice amministrativo, e dunque l'agire dell'Autorità non è limitato da un controllo esterno. Anche in caso di impugnazione, infine, il giudice amministrativo si troverebbe a decidere di questioni puramente civilistiche, senza essere soggetto alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione.

Le imprese non faranno fatica a identificare i rischi e le opportunità di questo rinnovato ruolo dell'Antitrust nei loro rapporti commerciali. Le imprese con “potere di mercato relativo”, ovvero anche quelle chiaramente non dominanti, saranno coscienti che metodi e contenuto di strategie commerciali con la loro “rete” potranno subire una istruttoria antitrust, con l'invasività che le è propria ed il rischio di sanzioni significative. I fornitori o clienti “deboli”, d'altro canto, vedranno più concreta la possibilità, nei momenti di maggiori difficoltà, di una segnalazione priva di alcune difficoltà tipiche di un giudizio civile, quali il costo del giudizio e, in particolare, dell'istruttoria, l'onere della prova, i tempi processuali, il rischio di soccombenza e di recupero delle spese di lite.

Se va riconosciuto che alcuni fenomeni nell'ambiente digitale o nei settori regolati richiedono forme di governo dei rapporti tra imprese che è più efficiente assegnare ad autorità amministrative con sensibilità economica, un prudente utilizzo delle istruttorie dell'Autorità sull'abuso di dipendenza economica nei settori più tradizionali è vitale per il mantenimento di un corretto equilibrio tra poteri di governo della giustizia e dinamiche del contratto.

L'Autorità Antitrust italiana ha recentemente aperto una istruttoria nei confronti di Facebook (Meta) per accertare un presunto abuso di dipendenza economica nella negoziazione con Siae delle licenze d'uso, sulle proprie piattaforme, dei diritti musicali. La questione presenta numerosi profili di peculiarità, che si traducono in altrettanti motivi d'interesse. La prima è che si tratta di una negoziazione ancora in corso, e l'Autorità ha appena adottato misure cautelari, imponendo a Meta di riprendere “in buona fede” le trattative”, dando “accesso alle informazioni” sui propri ricavi e ripristinando medio tempore l'accesso ai contenuti SIAE sulla piattaforma. La seconda emerge dalla scelta di aprire una istruttoria per abuso di dipendenza economica, piuttosto che di posizione dominante ex art. 102 TFUE, nonostante si sarebbe potuto approfondire la medesima questione in un “tradizionale” procedimento antitrust, affrontando la sfida di definire Meta “dominante”. La terza è che l'Autorità interviene nel settore delle piattaforme digitali proprio all'alba dell'entrata in vigore del digital market act, la quarta, è che SIAE è un super dominante nella gestione collettiva dei diritti d'autore, seguendo i tradizionali canoni di definizione del potere di mercato antitrust, ma è considerata parte “debole” nei confronti delle piattaforme di intermediazione, anche se esse non sono focalizzate primariamente sui contenuti musicali.

Ciò che più colpisce, però, è che quest' istruttoria dà ulteriore corpo ad una recente e significativa tendenza che ha visto l'AGCM portare avanti procedimenti sull'abuso di dipendenza economica in molti settori, anche molto distanti dalle piattaforme digitali (quali le reti di distribuzione in franchising, nella ristorazione, nell'abbigliamento, nella telefonia, o nel settore postale). Nella quasi totalità dei casi, queste istruttorie si sono chiuse con impegni, ovvero con obbligazioni della parte forte che sono state rese definitive nel provvedimento finale dell'Antitrust, senza accertamento di infrazione, e senza sanzione.

uò dunque affermarsi che l'Autorità abbia, con decisione, tirato fuori dal cassetto dei suoi strumenti di enforcement l'abuso di dipendenza economica o “subfornitura nelle attività produttive”, una fattispecie prevista esplicitamente nell'ordinamento italiano dal 1998 e recentemente riformata e migliorata. In estrema sintesi, l'illecito si verifica quando una impresa trae vantaggio della situazione di dipendenza economica di un proprio cliente o fornitore per imporgli “un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”.

Per molto tempo e fino ad oggi, la stessa Autorità ha guardato con sospetto questo potere intrusivo nella libertà contrattuale di due imprese, ritenendolo sostanzialmente estraneo alla sua missione istituzionale.

In effetti, a ben guardare, anche nell'abuso di posizione dominante le autorità antitrust (non solo quella italiana) si sono maggiormente focalizzate sui c.d. abusi escludenti, più che su quelli di sfruttamento o di dipendenza economica, forse in ragione di una minore robustezza dell'analisi econometrica a supporto di questi casi. Riluttanza ancora maggiore si è registrata nelle competenze attribuite all'Autorità riguardo alla equità dei rapporti nel settore di produzione alimentare.

Ora, quindi, un cambio radicale di approccio.

L'abuso di dipendenza economica è una fattispecie ibrida, che dà opportunità, e qualche problema di non poco momento. Essa non prevede che l'impresa “forte”, dotata di potere di mercato, sia dominante in senso antitrust, e sfugge dunque dalle maglie e dallo standard probatorio che faticosamente si è costruito in questi anni in Europa per l'applicazione dell'art. 102 del Trattato. Essa non sembra neppure onerare l'Autorità di condurre una particolare analisi di impatto, benché la legge conferisca il potere di comminare sanzioni o diffide solo “qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato”.

È dunque più discrezionale, o forse più arbitrario, sicuramente meno rigoroso, e si occupa di equità del rapporto bilaterale tra l'impresa “forte” e quella “dipendente”, e non di efficienza della dinamica concorrenziale del mercato.

In sostanza, sembra maturare una ultima e più marcata evoluzione dell'Autorità che assume il ruolo di giudice, senza esserlo, su tematiche di diritto privato legate a contratti tra due imprese, in concorrenza con il giudice “naturale” previsto dalla Costituzione, e nei più svariati settori merceologici. Un'Autorità che, nella conduzione dell'istruttoria, non è terza, ma inquirente, con buona pace di Montesquieu e della tripartizione dei poteri. Tra l'altro, le decisioni con “impegni” sono molto raramente impugnate di fronte al giudice amministrativo, e dunque l'agire dell'Autorità non è limitato da un controllo esterno. Anche in caso di impugnazione, infine, il giudice amministrativo si troverebbe a decidere di questioni puramente civilistiche, senza essere soggetto alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione.

Le imprese non faranno fatica a identificare i rischi e le opportunità di questo rinnovato ruolo dell'Antitrust nei loro rapporti commerciali. Le imprese con “potere di mercato relativo”, ovvero anche quelle chiaramente non dominanti, saranno coscienti che metodi e contenuto di strategie commerciali con la loro “rete” potranno subire una istruttoria antitrust, con l'invasività che le è propria ed il rischio di sanzioni significative. I fornitori o clienti “deboli”, d'altro canto, vedranno più concreta la possibilità, nei momenti di maggiori difficoltà, di una segnalazione priva di alcune difficoltà tipiche di un giudizio civile, quali il costo del giudizio e, in particolare, dell'istruttoria, l'onere della prova, i tempi processuali, il rischio di soccombenza e di recupero delle spese di lite.

Se va riconosciuto che alcuni fenomeni nell'ambiente digitale o nei settori regolati richiedono forme di governo dei rapporti tra imprese che è più efficiente assegnare ad autorità amministrative con sensibilità economica, un prudente utilizzo delle istruttorie dell'Autorità sull'abuso di dipendenza economica nei settori più tradizionali è vitale per il mantenimento di un corretto equilibrio tra poteri di governo della giustizia e dinamiche del contratto.

*Antitrust partner in Nunziante Magrone e professore di Antitrust Private Enforcement presso l'Université Catholique de Lille

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