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«Agli inizi del ‘900 avevamo tutto: pecore di lana merinos pregiata, di razza Gentile silana, che pascolavano allo stato brado nelle montagne della Sila, e una quarantina di lanifici dotati di grandi telai azionati a mano. Fra queste piccole fabbriche tessili c'era anche il lanificio del mio bisnonno Antonio, fondato a Carlopoli, nel Savuto, nel 1873». Emilio Salvatore Leo ha condotto uno studio filologico sugli antichi lanifici della Calabria che, al tempo, rappresentavano per quei territori un patrimonio ricchissimo. Molte famiglie avevano addirittura i telai in casa: erano soprattutto le donne a pettinare, cardare, filare e tessere la lana.
«Ma negli anni Settanta, il Governo ha deciso di “rottamare” la nostra pecora per introdurre nuove razze ovine, in particolare quella sarda, più indicata per la produzione casearia. Così oggi importiamo merinos dall'Australia e abbiamo problemi a smaltire ogni anno 700 tonnellate di lana da tosa».
Il Lanificio Leo, che nel 1935 fu trasferito nell'attuale sede di Soveria Mannelli, un piccolo comune sulla strada statale 19, che «allora era come un'autostrada, con l'energia elettrica anche in estate e la stazione di scambio delle Calabro Lucane», come racconta Leo, ha resistito ai cambiamenti determinati dallo sviluppo di nuove economie e dal conseguente spopolamento delle aree interne.
Oggi è un hub di design all'interno del vecchio opificio, che è anche un suggestivo museo d'impresa con un parco macchine dell'800. Una factory, con 6 dipendenti e diversi consulenti, dedicata al progetto, con impianti nuovi e forti connessioni internazionali, che solo l'approccio innovativo di un architetto, quale è Emilio Salvatore Leo, poteva concretizzare. «Fare un plaid a Soveria Mannelli è innanzitutto un atto politico. Qui progettiamo visioni attraverso il tessuto, che è per noi un mezzo d'espressione, un collettore di significati. Traduciamo concetti, siamo editori». Un pensiero apparentemente difficile che si semplifica però osservando le produzioni di Lanificio Leo, dietro cui si avverte sempre il tocco dei designer che le ha realizzate: per anni Emilio Leo ha radunato artisti di tutto il mondo, organizzando in Calabria dei veri grand tour che ispirassero nuove letture della geografia arcaica dei territori, attraverso la lente contemporanea del design. Un'esperienza estetica e progettuale che ha dato risultati eccezionali. Non a caso Leo ha ricevuto il Premio Guggenheim e ha partecipato alla Triennale di Milano con una personale di plaid, arazzi, stuoie e sciarpe.
L'idea di fondo è proprio questa: rivitalizzare l'impresa con strumenti culturali e lasciarli penetrare nel territorio, assegnando al prodotto un forte potere identitario. Per anni il suo festival Dinamismi Museali, dedicato al pensiero contemporaneo, ne è stata una rappresentazione.
È così che il Lanificio Leo ha continuato a essere parte della storia economica e produttiva del Savuto, un distretto da sempre particolarmente vitale, con la presenza dell'editore Rubbettino, di cui Emilio Salvatore Leo è spesso partner (oltre che direttore creativo), e di Sirianni, rinomata azienda di arredi per le scuole.
Ma per l'architetto Leo, il fatto di essersi spinto così avanti rispetto al mestiere antico ereditato dall'amato padre Peppino, scomparso di recente (a lui è dedicato il libro “Aveva le mani d'oro”, scritto da Prashanth Cattaneo ed edito da Rubbettino), non gli impedisce di guardare in prospettiva al settore del tessile, e nello specifico a quello della lana e a tutta la sua filiera: «Ci vuole un'azione di sistema – avverte – serve attivare un grande motore imprenditoriale, con macchinari nuovi, visto che mettere a norma quelli di una volta è un'operazione difficile e costosa, e ci vogliono operai specializzati. Serve recuperare la tradizione rurale, ripartendo proprio dagli allevamenti. Certo che potrebbe anche essere reintrodotta la merinos! Ma è una partita multisettoriale che deve coinvolgere innanzitutto i decisori pubblici. In Inghilterra, ad esempio, ci sono istituti che tutelano i processi produttivi a bassa tecnologia ma con alto potere identitario. Potemmo prendere esempio e agire di conseguenza. Altrimenti restiamo sempre e solo una bella storia da raccontare».
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