L’Asia ritrova slancio La Corea è diventata il nuovo Giappone
Nel 2021 l’export di arredo e illuminazione made in Italy verso Seul è cresciuto del 21% rispetto al 2019. Rischi da indebitamento ed energia
di Marco Masciaga
2' di lettura
«A maggio eravamo in Vietnam per un cliente e gli export manager erano già tutti al lavoro. Ad aprile ero in India e lì la guerra non esiste, il Covid non esiste. A parte la Cina, l’Asia ha riaperto. Nei primi 5 mesi dell’anno le richieste sono aumentate e la sensazione è che la ripresa stia accelerando». Alessandro Fichera è il Ceo di Octagona, una società di consulenza che assiste le imprese nei processi di internazionalizzazione e – dopo due anni complicati («a un certo punti ci siamo messi noi a importare: mascherine») – non nasconde un certo entusiasmo.
I dati sembrano dargli danno ragione. Nei primi tre mesi del 2022 le esportazioni italiane verso i mercati asiatici, Cina esclusa, si sono avvicinate ai 9 miliardi di euro con un incremento del 14,5% rispetto ai primi tre mesi del 2021. Un dato che lascia supporre che il 2022, salvo nuovi shock, vedrà gli esportatori italiani verso il continente più popoloso del pianeta superare i livelli prepandemici .
Andando nel dettaglio dei Paesi che importano più di 2 miliardi di euro all’anno di beni dall’Italia spiccano i dati dell’India: +28,3% nel 2021 e +26,5% anno su anno nel primo trimestre del 2022. Corea del Sud e Singapore invece sono gli unici mercati di grandi dimensioni a essere tornati sopra i livelli pre-Covid già nel 2021 (+8,6% e +7,3% sul 2019). Nel settore dell’arredo e illuminazione il dato più interessante è ancora quello della Corea del Sud che lo scorso anno ha importato dall’Italia il 20,9% in più rispetto al 2019, scavalcando in classifica il Giappone.
Tutto bene dunque? No, tutto no. Alcune delle correnti che attraversano l’economia mondiale invitano alla prudenza. «I Paesi asiatici non sono ancora tornati i livelli pre-crisi», spiega Ivano Gioia, Responsabile scenari economici di Sace. «Per via di politiche fiscali molto concessive a supporto dell’economia, alcuni Stati sono molto indebitati, nel caso dell’Indonesia per un terzo con titoli denominati in dollari. Ora, di fronte al rialzo dei tassi deciso dalla Fed americana devono decidere la politica monetaria, sapendo che c’è il rischio di strozzare la ripresa o di provocare un capital outflow verso gli Stati Uniti. Il rialzo dei prezzi dell’energia è un altro fattore: gioverà a Malaysia e Indonesia, ma non a importatori come Thailandia, Filippine e Vietnam». Senza contare le ricadute regionali del rallentamento della crescita cinese e quelle globali della Regional comprehensive economic partnership (Rcep) che contribuirà alla crescita dei Paesi aderenti, ma renderà meno competitivi i prodotti italiani.
Un quadro non privo di sfumature. Forse troppe per le Pmi che muovono i primi passi sulla via dell’internazionalizzazione. «Spesso l’azienda padronale è guidata da una visione, come dire, “di pancia” del titolare», spiega Fichera. «A volte si prendono decisioni verificando solo le minime condizioni di mercato: numero dei clienti e fatturato raggiungibile. Altre volte si disperdono le risorse su troppe aree, portando a casa risultati modesti; altre ancora prevale una mentalità da Fiera di Francoforte, mentre oggi devi dialogare a livello culturale con gente a 12 ore di aereo da te. Ma non tutti investono senza la certezza di un ritorno immediato».
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